Stando alle dichiarazioni del ministro Carlo Nordio e del viceministro Francesco Paolo Sisto, il referendum costituzionale in tema di giustizia potrebbe tenersi nel mese di marzo, se non entro la metà del mese, secondo quest’ultimo. Più di recente, è apparsa notizia per cui in ambienti governativi sarebbe emersa la volontà di chiamare i cittadini al voto il 1 marzo, la prima domenica del mese.

Dichiarazioni dettate dal desiderio di chiudere al più presto la partita, nella migliore delle ipotesi sulla base della convinzione di contribuire a ribadire la credibilità del governo e della maggioranza che lo sostiene. Ad una lettura maliziosa, si potrebbe pensare ad una volontà di far svolgere nei tempi più ristretti la campagna referendaria, così limitando la possibilità di informare adeguatamente gli elettori sulla portata e le conseguenze delle modifiche approvate dalle Camere.

Non solo il voto

E già: perché, al contrario di quel che viene fin troppo spesso frainteso, sulla base di una diffusa ma riduttiva ed erronea concezione della democrazia, questa non si risolve nell’esercizio del voto, ma esso deve essere libero (oltre che segreto, uguale e personale, come la Costituzione prevede all’art. 48) e, soprattutto, informato e consapevole. La genuinità del voto referendario è garantita dalla comprensibilità del quesito posto all’elettore che solo sulla base di una corretta e, nei limiti del possibile, capillare campagna referendaria, potrà esprimere il voto consapevolmente. E ciò è tanto più necessario quando sia posto all’elettore un quesito complesso, qual è quello se approvare o respingere la riforma costituzionale in questione.

Ma vediamo di capire quali sono i tempi previsti dalla normativa vigente, che, fino ad ora, il ministro Nordio, correttamente, ha soggiunto di volere rispettare. La concreta fissazione della data spetta al Consiglio dei ministri ed in base a tale delibera viene indetto il referendum con decreto del Presidente della Repubblica, entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza dell’Ufficio centrale del referendum che lo abbia ammesso. La data di svolgimento delle operazioni di voto sarà una domenica compresa tra il cinquantesimo ed il settantesimo giorno successivo alla emanazione del decreto presidenziale (artt. 15, l. 352/1970).

Ora, nelle precedenti occasioni in cui si sono svolti i referendum su riforme costituzionali, le operazioni ora ricordate si sono avviate dopo il trascorrere dei novanta giorni previsti dall’art. 138 Cost. per la presentazione della richiesta del referendum, che, va ricordato, può essere presentata da un quinto degli appartenenti ad una delle due Camere, da cinque consigli regionali nonché da cinquecentomila elettori. Da rilevare che solo in un caso venne presentata una richiesta da parte di (oltre) cinquecentomila elettori (oltre che dagli altri titolari dell’iniziativa): fu nel 2006, quando si votò sull’ampia riforma voluta dalla maggioranza guidata da Silvio Berlusconi, mentre nel 2016 non si raggiunsero le firme, ma fu sufficiente la richiesta presentata dai parlamentari, perché si potesse svolgere la consultazione popolare.

le richieste di referendum

Per quanto riguarda la riforma approvata quest’anno dal Parlamento, sono state presentate ben quattro richieste di referendum da parte sia di esponenti della maggioranza, sia da esponenti dell’opposizione. E la Corte di cassazione ha già deciso che le richieste stesse sono legittime e che, dunque il referendum si farà. È stata una decisione assai tempestiva (forse fin troppo…), contraddicendo la precedente prassi, in base alla quale tutte le richieste presentate (di qualsiasi provenienza) furono valutate solo allo scadere dei tre mesi previsti dall’art. 138 Cost.

E, sulla base di una interpretazione letterale (ma, come detto, mai seguita in precedenza) dell’art. 15 della legge sul referendum (in base al quale, come detto, il decreto d’indizione dovrebbe essere emanato entro sessanta giorni dalla comunicazione dell’ordinanza della Cassazione) il Governo potrebbe decidere di scegliere una data molto prima che scadano i novanta giorni previsti dalla Costituzione per la presentazione della richiesta del referendum. Tuttavia, il 19 dicembre, è stata depositata da un comitato promotore composto da elettori un’ulteriore richiesta di referendum sul testo approvato dalle Camere. Una richiesta che potrebbe essere considerata tardiva, ma che non è del tutto intempestiva, atteso che la raccolta di almeno cinquecentomila firme – oltre che con i tradizionali metodi – può da qualche tempo essere effettuata in via telematica.

Pur se rivestita dalla legalità formale sorretta dall’interpretazione letterale del citato art. 15 (un tipo di interpretazione definito dalla Corte costituzionale “primitivo”, in quanto scevra dell’indispensabile considerazione sistematica delle previsioni costituzionali e delle disposizioni di leggi ordinarie che ad esse danno svolgimento, oltre che, in questo caso, distanti dall’esperienza maturata nel senso di una costante applicazione di una previsione normativa), una scelta anticipata rispetto allo scadere dei novanta giorni dalla pubblicazione del testo su cui si andrà a votare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica (curiosamente avvenuta il giorno stesso dell’approvazione parlamentare) sarebbe, quanto meno estremamente inopportuna ed inevitabilmente destinata a turbare il clima in cui dovrebbe svolgersi la campagna referendaria.

*Professore ordinario di Diritto costituzionale, Università degli Studi Roma Tre

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