Il 17 gennaio inizia il voto del parlamento in seduta comune per eleggere i laici del Consiglio superiore della magistratura, ma il rischio è che il primo scrutinio vada a vuoto per mancanza di accordo sui nomi. Con il risultato di protrarre ancora – dopo due rinvii di votazioni - l’attesa per l’insediamento del Csm, che ha eletto i 20 togati già a fine settembre.

Subodorando l’impasse, il Presidente della Camera Fontana ha già fatto sapere che, se martedì non si raggiungerà il quorum, le Camere saranno convocate ogni martedì fino alla fumata bianca.

«Troppo poco. Di fronte alla prorogatio dell’attuale Csm che si è estesa di ben 4 mesi, si valuti un iter ad oltranza, con votazioni a cadenza quotidiana», è la richiesta del deputato del terzo polo, Enrico Costa, che teme «una indeterminata dilatazione dei tempi, con riflessi di paralisi sulle decisioni che l’organo di autogoverno della magistratura ha il compito di assumere».

Del resto, quello per il Csm è un risiko quasi più difficile da risolvere delle nomine ministeriali, perchè incrocia requisiti specifici, i desiderata dei partiti ma anche le valutazioni dei consiglieri togati. I quali, essendo la maggioranza del consiglio, potrebbero coalizzarsi per scegliere un vicepresidente d’area diversa rispetto alla maggioranza di governo.

«I nomi saltano fuori sempre negli ultimi giorni», è il pronostico di un deputato azzurro di lungo corso, che ha visto più di una votazione per l’organo di autogoverno della magistratura. Anche in questa occasione, i nomi su cui punteranno i partiti non sembrano ancora essere usciti allo scoperto ma il tempo è agli sgoccioli.

A differenza delle elezioni precedenti, infatti, la riforma Cartabia ha modificato le regole di elezione prevedendo un meccanismo di trasparenza per cui i candidati devono essersi autocandidati oppure devono essere proposti da almeno 10 parlamentari di due gruppi diversi, entro una scadenza prefissata.

Al link pubblico sul sito della Camera i nomi sono 202 e contengono anche alcuni nomi noti sia di ex parlamentari – come Gaetano Pecorella di Forza Italia e Francesco Urraro della Lega – che di professori e avvocati.

Tuttavia, secondo le indiscrezioni dei vari partiti, i veri nomi non sarebbero ancora emersi. Tuttavia il tempo è ormai agli sgoccioli: secondo il regolamento, le autocandidature vanno presentate entro le 9 del 14 gennaio, con una finestra che rimarrà aperta per le candidate donne (che non hanno raggiunto il 40 per cento delle candidature) fino alle 10 del 16 gennaio e fino alle 10 del 17 gennaio per i candidati presentati dai gruppi parlamentari.

Con il rischio che, se i partiti decideranno di presentare i loro candidati all’ultimo minuto utile e di non scegliere tra la rosa di autocandidati, poco cambierà rispetto alle precedenti tornate in cui i nomi uscivano direttamente allo spoglio.

Le ripartizioni

Quel che si ripete ormai da mesi è che la ripartizione dei posti – 10 e non più 8, sempre grazie alla riforma – sia fissata in 3 posti a Fratelli d’Italia, 2 alla Lega, 2 a Forza Italia e tre rispettivamente a M5S, Pd e terzo polo.

In realtà, la ripartizione non sarebbe poi così blindata e molto dipenderà dai nomi che i partiti decideranno di sostenere, visto che per eleggerli a scrutinio segreto servono i tre quinti dei parlamentari riuniti. Una parte di FdI ambirebbe ad eleggere per sè 5 laici, lasciandone rispettivamente uno ai due partiti della sua coalizione, ma tale ingordigia rischierebbe di provocare una ulteriore tensione interna in maggioranza.

Il Pd, per ora, aspetta che sia il centrodestra a fare la prima mossa. «Il rischio è che, per sanare il loro mancato accordo interno sui nomi, decidano di strabordare e provare ad accaparrarsi altri seggi», è il ragionamento di una fonte dem. Tradotto: che i 5 posti di FdI saltino fuori non togliendoli agli alleati, ma a quelli di minoranza. Del resto, la costituzione non prevede proporzioni chiare ma solo che la minoranza parlamentare sia rappresentata, quindi anche con un solo laico.

Del resto anche le candidature al Csm sono entrate nel più ampio meccanismo di spoils system e, secondo fonti di maggioranza, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni starebbe seguendo la vicenda in prima persona.

La preferenza, a quanto si apprende, sarebbe per eleggere membri laici che non siano già parlamentari e questa indicazione sarebbe stata estesa anche agli altri partiti del centrodestra.

I nomi

Per ora, l’unica certezza è il mulinello di nomi che si rincorre: per FdI si continua a parlare del presidente della fondazione An, Giuseppe Valentino, spendibile anche come candidato vicepresidente; per FI uno tra i nomi ipotizzati è quello della ex senatrice Fiammetta Modena, ma starebbe prendendo quota anche quello del già componente del Csm, Pierantonio Zanettin, che però sarebbe fuori se si rispettassero i desiderata di Meloni.

Tra i nomi del centrosinistra, invece, la schiera più nutrita è quella dei possibili nomi del terzo polo, tra i quali quello dell’avvocato penalista e presidente delle Camere penali, Giandomenico Caiazza, e quello dell’ex deputato Giuseppe Cucca.

Tra i nomi di chi si è già formalmente candidato e che effettivamente sembrerebbe in lizza per la Lega, ci sono l’ex parlamentare Urraro e Fabio Pinelli, ex legale di Armando Siri.

Tuttavia, tra i molti nomi di avvocati autocandidati, più di uno ha avuto trascorsi politici con il centrodestra e proprio tra di loro potrebbe nascondersi quello che ha incassato il sostegno della maggioranza.

Continua a circolare, per l’area di centrosinistra, anche il nome della ex ministra Marta Cartabia, ma con un problema che non è solo il sì della diretta interessata. Una ministra uscente difficilmente potrebbe accontentarsi di fare la consigliera semplice, ma le chances di sua elezione alla vicepresidenza da laica di minoranza non sarebbero molte, viste anche le molte tensioni con la magistratura durante l’approvazione della riforma dell’ordinamento giudiziario.

La questione donna 

Uno dei pochi punti fermi di FdI sarebbe la volontà di eleggere figure femminili, tra i laici di centrodestra.

La questione di genere, con una presidente del consiglio donna, è particolarmente rilevante anche sul piano simbolico e tutti i laici uscenti del Consiglio del 2018 sono uomini. Per questo, si starebbe tentando l’accordo anche con gli altri partiti del centrodestra, perchè la quota donne sia ampia. Eppure, con il voto segreto, le sorprese sono sempre possibili e il rischio che la quota femminile rimanga relegata giusto alle candidature è dietro l’angolo.

La vicepresidenza

Intanto, i togati eletti e congelati da settembre aspettano con interesse le evoluzioni. Quando i laici saranno eletti e si potrà costituire il plenum, inizierà il secondo round per l’elezione del vicepresidente del Csm, ruolo riservato a un laico ma da un consiglio che è a maggioranza togata.

Per questo i partiti devono stare attenti a promettere ai loro eletti la vicepresidenza: il gradimento del singolo eletto da parte dei togati è fondamentale per l’elezione.

Inoltre, in questa tornata il centrodestra, che eleggerà il maggior numero di laici e dunque sulla carta ha più chances di avere la vicepresidenza, ha un altro problema. Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha promesso riforme che difficilmente saranno gradite ai togati, a partire dalla separazione delle carriere. Per questo il vicepresidente del Csm avrà il ruolo impegnativo di rappresentante dell’ordine giudiziario anche presso via Arenula tendendo testa al ministro e i togati – qualora non ritenessero i laici di centrodestra all’altezza – potrebbero coalizzarsi per votarne uno della minoranza come è stato nel caso dell’uscente David Ermini.

Il risiko è cominciato, ma si preannuncia una maratona con molti ostacoli disseminati lungo il percorso.

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