La vicenda dei pestaggi da parte della polizia penitenziaria nel carcere di Santa Maria Capua Vetere su cui c’è un’indagine è un grosso problema per l’ex ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede.

All’epoca dei fatti, il ministro, per bocca del sottosegretario Vittorio Ferraresi, aveva risposto a un’interrogazione del deputato di Più Europa Riccardo Magi, dicendo che «il 6 aprile 2020, è stata disposta l’esecuzione di una perquisizione straordinaria all’interno del reparto “Nilo”. Si è trattato di una doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità dell’intero reparto, alla quale ha concorso, oltre che il personale dell’istituto, anche un’aliquota di personale del gruppo di supporto agli interventi».

I pestaggi, documentati da Domani con i video, secondo l’ex guardasigilli erano dunque «una doverosa azione di ripristino di legalità e agibilità dell’intero reparto».

Non solo, il ruolo di Bonafede nella vicenda è legato anche alla sua nomina ai vertici del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del magistrato Francesco Basentini, a cui hanno fatto seguito polemiche perché per quel posto era stato vagliato anche l’attuale consigliere del Csm, Nino Di Matteo.

Nel suo ruolo di capo del Dap, Basentini rispondeva «Hai fatto benissimo» agli aggiornamenti del provveditore delle carceri della Campania, Antonio Fullone, sulla “perquisizione straordinaria” del carcere.

Proprio oggi in commissione Antimafia è stato audito l’ex magistrato Luca Palamara, al quale è stato chiesto di raccontare come venne gestita proprio la nomina di Basentini e chi si era adoperato per favorirla, a scapito di Di Matteo.

Palamara ha dichiarato che la nomina in quel ruolo così delicato e tenuto in alta considerazione dalla magistratura associata «non fu dettata dalle correnti della magistratura, ma fu frutto di una scelta diversa che in quel contesto si stava verificando all'interno del ministero della Giustizia».

Secondo Palamara, Basentini fu preferito a Di Matteo anche se non aveva i requisiti specifici per il ruolo perché «Basentini non si era mai occupato appieno di questioni carcerarie. Quindi restammo colpiti quando il suo nome cominciò a circolare».

Il capo del Dap, infatti, gestisce una serie di informazioni delicate che provengono da ambienti carcerari e il profilo richiede una specifica esperienza anche nel settore della lotta alla mafia. 

Sempre stando al racconto di Palamara, Di Matteo non venne nominato perché «quella gestione e mole di informazioni poteva rafforzare ancora di più il personaggio di Di Matteo nella magistratura. E quando si rafforza un personaggio così il sistema si preoccupa per trovare un punto di equilibrio».

Insomma, per non rafforzare il profilo di Di Matteo il ministro Bonafede «ha nominato Basentini, tenendo conto di questo meccanismo e ascoltando suggerimenti che sconsigliavano questa scelta». Basentini, infatti, rappresentava il punto di equilibrio perché «da un lato, formalmente poteva essere ricondotto alla corrente di Unità per la Costituzione e, dall’altra, evitava il rafforzamento di Di Matteo».

Dopo queste dichiarazioni, il membro della commissione Antimafia Maurizio Lupi ha ipotizzato di ascoltare nuovamente proprio l’ex ministro Bonafede, per far luce sul perché della nomina di Basentini.

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