Dopo gli attacchi politici e lo scontro tra il centrodestra e la magistratura, il governo ha proceduto anche sul piano formale ad opporsi alla decisione del tribunale di Catania sulla questione dei migranti e dei cpr.

L’avvocatura generale dello Stato, infatti, ha depositato oggi i ricorsi per Cassazione contro i provvedimenti del tribunale di Catania, con i quali i giudici avevano negato la convalida del trattenimento dei migranti nei cpr, disapplicando il decreto che prevedeva la cauzione di 5000 euro.

Sul piano processuale, l’avvocatura ha anche sottoposto ai giudici della Suprema corte di decidere a Sezioni Unite, ovvero che la decisione venga presa in carico dalla sezione più autorevole e composta da otto consiglieri, presieduta dal Primo Presidente della Corte di Cassazione, Margherita Cassano.

Le decisioni prese a Sezioni unite, infatti, hanno un peso maggiore in ambito giurisprudenziale e fissano un precedente particolarmente rilevante di cui poi le altre sezioni e i tribunali di merito terranno conto.

La richiesta è stata motivata con «la novità e il rilievo della materia» e dunque la necessità di un orientamento autorevole da parte della Cassazione.

Le motivazioni

Nel merito, il ricorso dell’avvocatura dello Stato argomenta le ragioni per cui la decisione del tribunale di Catania disapplichi erroneamente il decreto del governo.

Secondo l’ordinanza catanese, infatti, la disapplicazione nasceva dal fatto che il decreto violasse la direttiva europea 33 del 2013.

L’avvocatura dello Stato, invece, sostiene che «la direttiva prevede procedure specifiche alla frontiera o in zone di transito, per decidere sulla ammissibilità della domanda di protezione internazionale, se il richiedente non ha documenti e proviene da un Paese sicuro» e «alternativamente il trattenimento o il pagamento di una cauzione». Dunque, secondo l’avvocatura, non esiste ragione per una disapplicazione del decreto che prevede appunto la cauzione.

Inoltre, la direttiva prevede «la possibilità che il richiedente sia spostato in zona differente da quella di ingresso, se gli arrivi coinvolgono una quantità significativa di migranti che presentano la richiesta» e «in caso di provenienza del migrante da un Paese qualificato “sicuro” deve essere il richiedente a dimostrare che, nella specifica situazione, il Paese invece non sia sicuro, senza improprie presunzioni da parte del giudice».

Sostanzialmente, quindi, la linea giuridica adottata dal governo per difendere il suo decreto è quello di considerarlo non in opposizione, ma applicativo della direttiva europea.

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