Roberto Covelli è un venticinquenne, figlio di un palazzinaro, belloccio, caciarone, di ritorno da New York, dove si sta inserendo in banca. Per quelle vacanze Roberto va sulla neve a Cortina. Ci vanno tutti quell’anno a Natale. Esattamente come andranno in Egitto, in India, a New York, a Miami. Dove si passa il tempo a chiedersi che cosa fare, e a non fare mai niente.

Prendete la farsa, aggiungeteci una manciata di gag meccaniche e miscelate il tutto con una buona dose di commedia. Il risultato? Una bomba. Fatta di barzellette, gigionate, tormentoni, cazzate ginnasiali.

Cortina, 1983 

Ma torniamo a quell’anno, il 1983, epoca più remota dell’Impero romano. Siamo a Cortina d’Ampezzo, ed è Natale. Nuovi ricchi, snob, e alti, medi e bassi borghesi, tutti con una gran voglia di godersi le vacanze. Divertirsi, mettere le corna, avere soldi, scopare.

Protagonista Billo, uno scanzonato pianista sciupafemmine interpretato da Jerry Calà; è un castigamogli che ne cambia una per sera, mentre intorno a lui volteggia la fauna più pittoresca.

C’è il palazzinaro, proprietario del Palazzo d’Inverno, interpretato da Riccardo Garrone, l’ha fregato il benessere: faceva il capomastro. Per quella smorfiosa della moglie è rimasto un ignorante, cafone, uno che viene da Frascati. Tra un Corriere dello Sport e La grande boxe su Canale 5 anche ’sto Natale se lo è comunque levato dalle palle. Ha domestiche di colore e tre figli di cui il maggiore è arrivato con l’amichetta americana: Roberto Covelli. Appunto io, che sono fidanzato con Samantha, che è Karina Huff, amo bucatini, whiskacci e distillati di mele, ma sono un gran scassapalle.

C’è la famiglia di un macellaro di romani stracoatti, Mario Brega e Rossana Di Lorenzo sono i proprietari della Premiata Macelleria Marchetti. Il loro figlio, Mario, è interpretato da un giovanissimo Claudio Amendola, tifoso sfegatato della Roma, che pensa più a Falcão che alla fidanzatina.

C’è il solito cumenda milanese, inevitabilmente il grande Guido Nicheli, con moglie ipocrita e troia, Stefania Sandrelli. Billo è stato il suo primo amore quando andava in vacanza al Forte. Dal matrimonio voleva il minimo. La sua canzone preferita è Sono una donna, non sono una santa di Rosanna Fratello. C’è una bolognese che mette puntualmente le corna al marito; c’è una camerierina locale che dopo un anno smania ancora per Billo. C’è Collosecco.

C’è Moira, la Mandrilla di Porto Recanati. C’ha due tette così. Ha paura di sembrare esosa chiedendo un mijone per andare a letto con Donatone. C’è Luana, che è Moana Pozzi. Billo le ha fatto lo shampoo ieri e poi glielo farà anche domani. Farlo tutti i giorni le fa male. Infatti fa passare a Billo un Natale in bianco, invece di un bianco Natale.

E ci sono gli indigeni: un villico, Pasin, tagliaboschi delle Dolomiti, padre di Evelina, perseguita Billo, al quale «vuol segar via l’osel» per vendicare l’onore della figlia a colpi di scure e il maestro di sci Leonardo Zartolin che finisce nel letto delle giovani clienti, esperto nella tecnica del «peso a valle e sci a monte avanzato». Moderno anche lui, finisce a letto anche con me, cioè con Roberto Covelli, col quale si dà ancora del lei.

Insomma, quanto occorre, favorendo lo scambio di coppie, i piccoli intrighi, le svolte sentimentali, i pruriti dei bugiardi e le scenette degli equivoci, per mettere insieme un allegro balletto nel quale il frivolo e l’amaro di quell’epoca si tengono per mano.

Intarsiati con abilità dagli sceneggiatori Enrico e Carlo Vanzina, i figli di Steno, da sempre miei amici. La colonna sonora, zeppa di canzoni orecchiabili, non dà tregua. Un film storico. Con un cast, letto a posteriori, davvero pazzesco.

La mia fortuna

Questo film, Vacanze di Natale, è la mia fortuna. Con questo io svolto. È la versione natalizia di Sapore di mare, il primo grande successo. Sempre con Carlo Vanzina alla regia e suo fratello Enrico sceneggiatore. I figli di Steno, un altro grande regista della commedia all’italiana. 

Siamo nel cuore degli anni Ottanta. C’hanno fatto un fan club. Poi c’hanno fatto un libro, un sito, abbiamo proiettato tre anni fa il film al cinema Adriano in una serata memorabile in cui tutto il fan club cantava le canzoni. Un cultissimo, per numero enorme di fan, come per il Rocky Horror Picture Show, tutti sapevano tutte le battute a memoria. Ci sono diversi fan club in giro per l’Italia. Ce n’è uno che nel 1984 era di centocinquanta soci, tutti bocconiani.

Allora io che faccio? Un’occasione così non me la posso far sfuggire. Insomma, anch’io sono arrivato da qualche parte, anch’io a modo mio ce l’ho fatta. E già m’immaginavo le frasi che si sarebbero potute dire su di me: «Tale padre, tale figlio», «L’arte ce l’ha nel sangue quel ragazzo lì».

Tutto fiero, esaltato, di più: orgoglioso, vado da mia madre e le dico: «Mamma, ma tu lo sai che c’è un fan club dedicato a me e ai film di Natale, a Milano, alla Bocconi, all’università?».

«E quanti sono?» mi chiede lei interessata.

«Centocinquanta!» annuncio io emozionato.

«Saranno centocinquanta stronzi». 

© Riproduzione riservata