La “quasi Opa” fa scuola; ora è il turno di Atlantia, nelle cui casse stanno arrivando otto miliardi di euro. La bella somma deriva dalla vendita - a Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) e al fondo australiano di private equity Macquarie - della quota di controllo che Atlantia deteneva in Autostrade per l'Italia (Aspi). È questo l'esito, tortuoso come si vedrà, del crollo del ponte Morandi nel 2018 che ha causato la morte di 43 persone.

L'ingente liquidità in arrivo ad Atlantia accende l'interesse di Florentino Perez, storico patron della spagnola Abertis, di cui Atlantia ha rilevato il controllo nel 2018, con un'operazione che le ha dato un'azione in più del 50 per cento del capitale; il resto fa capo agli azionisti spagnoli da Perez rappresentati.

Abertis gestisce concessioni autostradali ed è ora gravata da 25 miliardi di debiti, a fronte di redditi operativi nulli. Logico che facciano gola otto miliardi; per inglobarli, tramite Atlantia, Perez ha arruolato altri due grandi fondi di private equity, Gic e Brooksfield.

I Benetton, detentori del 33 per cento di Atlantia tramite la finanziaria di famiglia, Edizione, starebbero organizzando una contro-Opa difensiva volta a togliere dalla quotazione Atlantia con l'aiuto di un altro fondo, Blackstone.

Perez e compagni metteranno a dura prova la compagine familiare, divisa in quattro rami; alcuni dei suoi membri danno l'impressione di essere piuttosto intenzionati a dividersi le spoglie di Edizione, che a continuare ad espandere le attività.

Magari andranno avanti, ma staremo a vedere cosa accade, non escludendosi che Edizione si faccia scudo di alcuni suoi asset “strategici”, come Aeroporti di Roma, per tenere a bada gli spagnoli.

Speriamo che non si punti su un nuovo coinvolgimento di Cassa depositi e prestiti, la cui nuova gestione di Dario Scannapieco è priva di colpe nella catena di eventi che si sta snodando.

Questa è partita nel 2018, dal crollo del ponte Morandi; la vicenda è stata da tutti mal gestita, dall'inizio. Dalla famiglia Benetton che cercò di chiamarsi fuori dalle responsabilità, anche morali, come se fosse passata di lì per caso; dal ministero competente che, prima della tragedia, avrebbe dovuto controllare Aspi e non l'ha fatto, dai governi Conte 1 e 2, infine, che hanno gestito le conseguenze del crollo con fretta, improvvisazione e obiettivi errati.

Ha cominciato il premier Conte annunciando, subito dopo il disastro, l'imminente revoca della concessione ad Aspi, per cui all'epoca mancavano i presupposti, per poi incaponirsi su una soluzione che doveva semplicemente sbatter fuori i Benetton.

Per questo ha perso l'occasione di far entrare con una piccola quota la Cdp, estromettendo la famiglia da ogni potere gestionale.

Sono stati invece i Benetton a escludere una scissione, che avrebbe assegnato direttamente le azioni Aspi ai soci di Atlantia, evitando ai soci di minoranza di finire fuori da Aspi senza diretta responsabilità. S'è trascurata la possibilità di spezzettare la concessione, richiamata su Domani dall’economista Marco Ponti.

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