Nel romanzo del 1985, Il racconto dell’ancella, Margaret Atwood immaginò un futuro in cui l’attacco ai diritti conquistati dal femminismo avrebbe ridotto le donne a ruoli di servitù domestica e riproduttiva, punendo con la morte l’aborto e l’autonomia sessuale.

Come i migliori prodotti del genere fantapolitico, la distopia fu capace di cogliere ciò che si agitava già allora nella società americana: il conflitto intorno al potere di controllo del corpo femminile e il pericolo del backlash conservatore dell’èra reaganiana. Eppure nemmeno Atwood poteva allora immaginare che al principio degli anni Venti del nuovo secolo le donne sarebbero scese nelle strade abbigliate come sue «ancelle», negli Stati Uniti e in tanti paesi del mondo, per resistere ad attacchi politici sempre più feroci contro la loro libertà.

Dalla Polonia al Texas, dal Brasile all’Italia, negli ultimi anni abbiamo visto la moltiplicazione degli sforzi delle destre per restringere, fino a cancellare, le possibilità legali di accesso delle donne all’interruzione di gravidanza e all’aborto terapeutico. Negli Stati Uniti, il possibile rovesciamento da parte della Corte suprema della sentenza Roe v. Wade, che da cinquant’anni garantisce la tutela costituzionale federale di questo diritto, sarebbe il coronamento dell’offensiva dei movimenti pro-life e dei governi degli stati a maggioranza repubblicana, ma anche il lungo lascito del presidente Donald Trump, che prima delle elezioni del 2020 nominò in tutta fretta la giudice antiabortista Amy Coney Barrett.

Il controllo dei corpi delle donne è un’ossessione che accomuna i partiti della destra radicale e i movimenti cristiano-conservatori sulle due sponde dell’Atlantico, decisi a giocare su questo terreno una partita identitaria al tempo stesso antica e nuova.

Un nuovo territorio di lotta

Di antico c’è il rifiuto di venire a patti con il cambiamento dell’ordine di genere e sessuale, nutrito di nostalgia per la tradizione, quindi ostile all’autodeterminazione riproduttiva in quanto aspetto cruciale della liberazione delle donne dal potere patriarcale.

L’idea che le donne siano soggetti capaci di compiere scelte autonome in campo sessuale, riproduttivo o in ogni altro ambito dell’esperienza umana, è del resto un’acquisizione molto recente nella storia del pensiero occidentale. Per millenni, nelle parole di filosofi e teologi, scienziati e uomini politici, il femminile è stato rappresentato come il polo negativo del maschile: il polo della natura, dell’oscurità del corpo, del sentimento. L’esclusione delle donne dalla sfera del discorso e dell’azione pubblica, e la loro subordinazione al capofamiglia nella sfera domestica, è sembrata a lungo una necessità indiscussa: esseri così manchevoli di ragione erano considerati inadatti alla deliberazione politica, ma anche al pieno esercizio della responsabilità morale.

Così, mentre con l’aborto le donne hanno sempre convissuto, nel privato e nel segreto, solo negli ultimi cinquant’anni l’interruzione della gravidanza non desiderata è stata riconosciuta in tanti ordinamenti come legale. In seguito, tuttavia, ha continuato a essere oggetto di un conflitto – che non riguarda la contrapposizione tra la vita e libertà della donna incinta e la vita embrio-fetale (le due vite non possono del resto essere facilmente disgiunte) ma oppone il potere maschile alla libertà femminile.

Oggi la partita che si gioca sui corpi delle donne presenta anche aspetti nuovi, non meno preoccupanti. Il discorso antiabortista mescola infatti elementi di “sessismo ostile”, per cui le donne che abortiscono sono dipinte come egoiste e infanticide, a elementi di “sessismo benevolo”, che descrivono l’interruzione di gravidanza come un’esperienza di dolore, vittimizzazione e trauma per le donne (madri per natura). È con argomenti simili che in Italia, nelle regioni governate dalla Lega e da Fratelli d’Italia, viene ostacolato l’accesso alla pillola abortiva Ru486, di cui si paventano i rischi per la salute, e insieme favorito l’intervento dell’associazionismo pro vita nei consultori e negli ospedali pubblici. Ciò significa che i movimenti e i partiti conservatori e anti femministi vedono un nuovo territorio di lotta e di conquista nei desideri e nelle paure delle donne.

Ora le donne «sono protette, possono adempiere in pace ai loro destini biologici, con pieno sostegno e incoraggiamento», diceva il comandante all’ancella del romanzo di Atwood. Se questa promessa di sicurezza, che cancella la libertà, è ciò che attende gli Stati Uniti dopo la decisione della Corte suprema, la scrittrice aveva visto lontano.

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