«Gravemente insufficiente». Non è difficile immaginare quale possa essere la reazione di una bambina o di un bambino di sei, sette, otto anni di fronte a un giudizio del genere, che ha il sapore di un verdetto. Ma il punto non è, ovviamente, solo la reazione psicologica dei bambini.

Ero viceministra dell’Istruzione quando nel 2020 – e molto ci sarebbe da dire anche su questa tendenza a cambiare continuamente le cose, tanto per lasciare un segno, senza neppure avere il tempo di veder sedimentare le riforme – introducemmo il giudizio descrittivo nella scuola primaria, dopo una lunga fase di ascolto di docenti, dirigenti, pedagogisti, esperti. Lo facemmo per superare il modello di scuola che ora Valditara sta rispolverando: il giudizio descrittivo ha infatti la funzione di sostenere la crescita del bambino, sottolineandone i progressi e mostrando il livello di apprendimento e la via per migliorare. L’esatto contrario di quel “gravemente insufficiente” che è una sentenza inappellabile, tanto più ingiusta perché rivolta a un bambino che deve ancora formarsi.

Del resto il punto per Valditara non è pedagogico, ma politico. Dall’inizio del suo mandato ha infatti, passo dopo passo, costruito l’impalcatura di una scuola-caserma, tutta basata su gerarchie, voti in condotta, giudizi e bocciature. La scuola delle disuguaglianze, che acuisce le disparità invece di accorciare le distanze. La scuola che consacra la cultura dello scarto, per usare un’espressione cara a Papa Francesco.

Il ministro da mesi non fa che calare dall’alto una serie di misure che hanno il solo scopo di imporre una visione della scuola opprimente e repressiva e di smantellare il sistema di istruzione basato sull’uguaglianza, aumentando i divari tra istituti, regioni, centro e periferie. Si va dall’inasprimento dei meccanismi che regolano il voto in condotta al divieto di utilizzo dei dispositivi tecnologici, a una revisione della valutazione degli alunni con il ripristino dei giudizi sintetici, fino a sperimentazioni, come quella del liceo Made in Italy, che le scuole e gli studenti hanno subìto, come dimostrato dal bassissimo numero di iscritti per il prossimo anno.

Impegnato com’è a infarcire il sistema di istruzione della sua visione ideologica, Valditara arriva persino a preconizzare misure per gli studenti con cittadinanza non italiana che, al netto delle acrobazie lessicali, non sono altro che forme di ghettizzazione: classi di transizione invece di un regolare inserimento in quelle ordinarie.

L’inclusione viene così spazzata via con un colpo di spugna. Del resto il modello è lo stesso che in Germania gli alleati del suo partito vorrebbero applicare alle persone con disabilità, da collocare, dicono, in classi separate, per non disturbare la produttività degli altri studenti.

L’autonomia differenziata completerà il disegno: sarà più semplice costruire nelle regioni, come è accaduto per la sanità, strutture di serie A per chi è benestante e di serie B per tutti gli altri. Accade già in paesi non troppo diversi dal nostro. Sta cominciando ad accadere anche qui, con le cosiddette “scuole per ricchi”.

Con l’autonomia si lascerà inevitabilmente spazio a differenziazioni di stipendi e investimenti, non solo tra Nord e Sud: docenti pagati meglio e formati meglio in strutture più efficienti, naturalmente private, e una scuola pubblica abbandonata a sé stessa, con docenti pagati di meno e strutture fatiscenti, riservata a chi non può permettersi quella privata, appunto.

Naturalmente chi vorrà investire avrà nelle famiglie più ricche una platea sicuramente disposta a spendere per garantire il meglio ai propri figli, in barba alla Costituzione che all’articolo 3 definisce chiaramente il compito della Repubblica: rimuovere gli ostacoli per garantire il pieno sviluppo della persona.

Il ministro Valditara tende a ribadire, ogni volta che gli si mostra la crudeltà del suo progetto, che conta il merito, che ha voluto inserire persino nel nome del suo ministero. Dimenticando ovviamente che vincere i cento metri partendo ottanta metri avanti non è merito, è privilegio. È ingiustizia.

La scuola è il luogo deputato a combattere questa ingiustizia. Accorciando le distanze. Attraverso lo studio, la conoscenza, lo sviluppo di relazioni positive. Altrimenti diventa solo un grande ospedale totalmente inutile perché – come diceva Don Milani – cura i sani e respinge i malati.

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