L’Economist del 4 settembre scorso ha aperto un dibattito sulla minaccia che la sinistra illiberale porterebbe al sistema liberale. Il pericolo di una intolleranza da parte dei progressisti radicali esiste, vediamo perché e le sue conseguenze. La copertina del settimanale britannico elenca i nemici del liberalismo ai giorni nostri: all’estero ci sono gli stati autocrati come la Russia di Vladimir Putin e la Cina di Xi Jinping che lo definiscono un sistema ormai decadente e da archiviare. Emblematica a questo proposito è l’intervista rilasciata dal presidente russo al Financial Times del 28 giugno 2019 intitolata “Putin dice che il liberalismo è diventato obsoleto”. Il presidente russo ha poi aggiunto per dare ulteriori dettagli alle sue accuse: «L’idea liberale era sopravvissuta alla sua funzione quando i cittadini si sono ribellati all’immigrazione, alle frontiere aperte e al multiculturalismo». Queste le conseguenze negative del liberalismo che secondo Putin hanno alimentato la crescita dei movimenti populisti nazionali che hanno cercato di preservare l’identità dei loro popoli.

Gli opposti estremismi

In occidente, invece, i nemici del liberalismo sono il populismo di destra e quello di sinistra che lo accusano di essere un sistema sostanzialmente elitario con lo scopo di preservare lo status quo a vantaggio dei privilegiati. L’accusa del settimanale britannico in realtà non è molto originale: la denuncia della minaccia di un “illiberalismo di sinistra” è ricorrente, da ultimo la rivista The Atlantic cinque anni fa negli Usa aveva chiesto ai democratici di opporsi al proliferare di queste posizioni radicali e snobiste che avrebbero potuto far perdere nel 2016 le elezioni presidenziali. Esattamente come è poi avvenuto con la rovinosa disfatta di Hillary Clinton e la vittoria di Donald Trump.

Ma nonostante l’accusa di illiberalismo di sinistra sia ricorrente vale la pena riprendere il dibattito per mettere a fuoco alcune riflessioni aggiornate e valide anche in Europa. Il settimanale britannico, bibbia del liberalismo moderno, ricorda che «il cuore del liberalismo classico sta nella convinzione che il progresso umano sia realizzabile attraverso la discussione e le riforme». Un elemento fuorviante e poco significativo per l’analisi che si proponiamo di eseguire. Che cos’è dunque in essenza il liberalismo? Circa 250 anni fa si è teorizzato che il liberalismo è il governo delle leggi (rule of law) attraverso un sistema politico che prevede la delega degli elettori a un parlamento liberamente eletto. Parlamento regolato a sua volta nei suoi rapporti con l’esecutivo e il giudiziario secondo la divisione dei poteri suggerita da Montesquieu da sistemi di check and balances (controlli e bilanciamenti) per evitare poteri eccessivi in capo a un solo soggetto o ramo del sistema.

La delega del potere legislativo e di controllo dell’esecutivo a un parlamento significa a sua volta che uno non vale uno, e che un rappresentante eletto in parlamento per un periodo temporaneo e sottoposto a verifica del voto popolare sia più idoneo, informato e capace di altri candidati in corsa per essere eletti. Il concetto di parlamento sottintende a sua volta che la sovranità è nelle mani dei cittadini che la mettono in atto attraverso delega e procedure costituzionali condivise ed elaborate da tutte le forze in campo. Un altro punto fondamentale del sistema liberale è la garanzia della libertà di iniziativa economica che spetta allo stato che la esercita a favore della produzione della maggiore ricchezza possibile per la comunità attraverso dei mercati liberi, concorrenziali e auspicabilmente senza dazi né eccessi burocratici (i famosi “lacci e lacciuoli” di einaudiana memoria).

Nel corso della sua lenta e non sempre lineare evoluzione storica il liberalismo ha elaborato il concetto di responsabilità sociale della ricchezza, un meccanismo di redistribuzione di parte delle ricchezze accumulate attraverso sistemi di opere di beneficenza, fondazioni ed eventi speciali tra i quali spicca il Met Ball, il gran ballo annuale di beneficenza a New York, dove recentemente la deputata democratica radicale Alexandria Ocasio-Cortez, icona appunto della “illiberal left”, la sinistra illiberale sebbene l’Economist non faccia nomi, si è presentata con un vestito con la scritta ”tax the rich”, tassate i ricchi, nonostante l’ingresso al ballo fosse di ben 35mila dollari a persona.

Il fabianesimo

Con il fabianesimo, un movimento politico e sociale che ha preso il nome da Quinto Fabio Massimo, Cunctator, il temporeggiatore, un movimento inglese che credeva in riforme a favore delle classi più povere rispetto a scelte rivoluzionarie, a metodi graduali di giustizia sociale, assistiamo al salto politico del liberalismo di sinistra attento ai temi della giustizia sociale senza perdere o ridurre gli spazi di libertà individuali, caposaldo liberale. Tra le riforme elaborate all’interno del fabianesimo o liberalismo di sinistra troviamo ai primi dell’Ottocento la gratuità del sistema sanitario nazionale e la progressività fiscale, un principio “rivoluzionario” secondo cui ciascuno contribuisce alla fiscalità generale che consente di finanziare il welfare state a secondo della ricchezza personale e dei relativi scaglioni di reddito. Insomma l’opposto delle flat tax, la tassa piatta, lanciata nel 1956 dall’economista liberista statunitense, Milton Friedman, il padre dei Chigago Boys.

Da un punto di vista storico il liberalismo come sistema politico è stato applicato per la prima volta in modo compiuto ed articolato nel 1776, data della Costituzione americana, nelle ex colonie inglesi in America, un piccolo stato che all’epoca dell’impero britannico era assolutamente marginale nel contesto globale. E’ stato solo in Gran Bretagna e nei primi anni dell’Ottocento (1830-1840) che il liberalismo si è sviluppato, è cresciuto e si è imposto come sistema di governo nei termini che abbiamo delineato in precedenza (governo delle leggi, parlamentarismo, tutela della libertà di iniziativa economica). Che ci siano stati attacchi al sistema liberale dal populismo di destra e di sinistra è nell’ordine delle cose. Il sistema liberale è molto fragile e si basa su precario equilibrio di poteri: se si cercano scorciatoie populiste a destra o illiberali a sinistra con le migliori intenzioni magari a tutela delle minoranze, del political correct o della cancel culture si apre la strada inevitabilmente a crepe che portano nel lungo periodo a sistemi illiberali.

Per questo, dopo la caduta del Muro di Berlino, i liberali hanno creduto che in Europa fosse sopraggiunta la fine della storia e la vittoria definitiva del sistema liberale come predetto dal saggio del politologo Francis Fukuyama. Non è andata così e non poteva non esserlo. Ora si tratta di mantenere in funzione il delicato sistema liberale affinché non sia corroso nel tempo.

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