La storia di quelli che sono stati soprannominati i “bambini nel bosco”, in breve, è questa: Nathan Trevallion e Catherine Birmingham avevano organizzato una vita per i loro tre figli secondo certi principi - vivere a contatto con la natura, homeschooling (forse, non è chiarissimo), nessun contatto o uso di plastica, elettricità e altri comfort, niente cure mediche tradizionali (vaccini compresi). Tutto questo in un bosco nei pressi di Termoli.

I giudici del tribunale dei minori dell’Aquila hanno disposto l’allontanamento dei bimbi dal padre e un soggiorno in una casa-famiglia insieme alla madre. Emergono vari problemi, relativi alla salute dei bimbi (un avvelenamento da funghi), le condizioni di igiene, la scuola.

In particolare, i giudici sottolineano che ai bambini potrebbe mancare la vita relazionale adeguata alla loro età - il contatto con gli altri bambini, insomma.

I paragoni con i campi rom

Come tutte le storie del genere, anche questa presenta troppi aspetti ancora da indagare per poterne dare un giudizio equilibrato. Il sospetto non ha sfiorato le menti di Giorgia Meloni e Matteo Salvini, che hanno attaccato la decisione dei giudici.

Meloni, forse, ha sollecitato l’invio di ispettori da parte del ministro Carlo Nordio. Secondo Salvini, lo stato non deve «entrare nel merito dell’educazione privata, delle scelte di vita personali di due genitori». E, sempre secondo Salvini, queste condizioni di vita sono le stesse dei minori nei campi rom.

La domanda, né implicita né retorica, che segue è: dovremmo allora togliere la responsabilità genitoriale ai genitori rom? La dichiarazione del leghista Rossano Sasso chiarisce, se ce ne fosse bisogno: «Quella mamma e quel papà hanno una sola colpa: essere inglesi e non appartenere alla comunità rom». Il padre è originario di Bristol, ma la madre di Melbourne. Pazienza, comunque parlano l’inglese, questo è sufficiente per Sasso.

Genitorialità e proprietà

Come dicevo, ci sono troppi aspetti nella storia per darne un giudizio equilibrato nel breve spazio di un articolo: un ecologismo mal digerito, una concezione solitaria ed egoistica del bene (noi ci allontaniamo dal mondo che riteniamo moralmente sbagliato, gli altri vadano in malora). Ma la cosa principale che emerge è una concezione proprietaria della genitorialità. Una volta detto che i due sono liberi di vivere come vogliono, per Salvini segue che sono anche liberi di imporre ai propri figli le loro scelte e le conseguenze che ne derivano.

Ma i figli non sono pezzi di mobilio, oggetti di cui si può disporre liberamente. L’errore etico e concettuale è essenzialmente questo: una concezione della genitorialità come proprietà, oltre che una concezione della libertà come privilegio di monadi isolate di farsi gli affari propri, scaricando su tutti gli altri le conseguenze.

Come è stato osservato, è lo stato, che Salvini dipinge come tirannico, ad aver salvato i bimbi dall’avvelenamento da funghi, usando la medicina ufficiale. E sono gli stati ad aver permesso alla madre di lavorare in smart working garantendo le connessioni internet in quel territorio. Ma soprattutto: l’essere genitori biologici può dare diritto ad avere una relazione con i figli, e ad avere voce in capitolo sulla loro vita. Essere genitori biologici comporta un diritto all’intimità e alla relazione con i figli, certamente. Ma non è sempre detto che a questo diritto si aggiunga un diritto di custodia e indirizzo.

L’interesse dei bambini

Quest’ultimo, soprattutto quando si concretizzi in conseguenze pesanti sulla vita dei minori, dev’essere regolato dall’interesse dei bambini. Come ha spiegato bene la filosofa Anca Gheaus, custodire e indirizzare un essere umano è un compito da svolgere nell’esclusivo interesse del custodito e rispettando i suoi diritti e la sua autonomia potenziale.

Rispettare l’autonomia dei bambini significa non precludere loro scelte future, rispettare i loro diritti a una crescita sana significa tutelare la loro salute fisica e psichica con i migliori mezzi a disposizione - e il giudizio su quali questi mezzi siano non può essere affidato a una sola persona, ma dev’essere un giudizio collettivo, sociale. I bambini sono figli sempre della società e dello stato, e la loro educazione dev’essere oggetto di una discussione pubblica e democratica.

I genitori debbono, nei limiti del buon senso, avere relazioni garantite con i loro bambini, ma ciò non vuol dire che ne possano disporre liberamente, a proprio insindacabile arbitrio. Per la stessa ragione per cui nessun essere umano può disporre liberamente di un altro essere umano. I figli sono pezzi di cuore, non pezzi di proprietà.

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