I messaggi vocali inviati da Matteo Messina Denaro, recentemente resi noti in molte sedi e ampiamente commentati, destano molti dubbi. Alcuni dubbi riguardano il contesto, cioè la disinvoltura del loro autore nel muoversi liberamente nel territorio e l’ovvia rete di complicità che l’ha resa possibile.

Altri dubbi riguardano il contenuto, il tono di voce, l’apparente sconclusionatezza (le richieste d’affetto, la marcia di Radetzky, e così via), l’andamento disgustosamente sbarazzino, le precisazioni apparentemente incongrue (le ruote a terra, ma non sgonfie). E, soprattutto, la possibilità che alla fine anche questi audio non siano solo disinvolte civetterie, ma messaggi cifrati.

Sono inquietanti i riferimenti al traffico – il traffico è il grande e l’unico problema siciliano, in un noto film parodistico. L’accenno alla musica viennese, pure, da parte di una persona che ha avuto una relazione con una donna di Vienna, non sembra casuale. Ma tutti questi dubbi saranno risolti, prima o poi, dalle forze dell’ordine e da chi tutti questi materiali sta sicuramente vagliando con attenzione.

Quello che non è dubbio, naturalmente, è il disgusto morale per la parte più difficile da sopportare dell’audio, cioè l’orrido accanimento nei confronti delle celebrazioni in memoria di Giovanni Falcone.

Libertà di stampa?

C’è un dubbio, però, che riguarda la sfera pubblica dove questi messaggi vengono diffusi e dove si manifestano le reazioni ad essi. Diffondere questi audio aiuta la riflessione critica e la libertà di pensiero e di stampa? Non ne sono convinto. Se si tratta di messaggi cifrati, li abbiamo resi noti a chi forse doveva riceverli.

Parliamo tanto di 41bis, e dell’idea di bloccare la comunicazione fra boss ed esecutori, e poi diamo voce al boss che gira libero e indisturbato, facendo il gradasso? Dobbiamo rendergli il servizio di fare ascoltare a tutti la sua voce arrogante?

Se gli audio non sono messaggi cifrati, ma sono esternazioni spontanee, e rappresentano l’autentica vita di Matteo Messina Denaro, diffonderli ha vari effetti, tutti nocivi. Potrebbe, per alcuni, umanizzare il boss, facendone dimenticare le colpe. Tutto sommato, era umano, pensava alla madre, s’inferociva per il traffico.

Potrebbe, per altri, metterlo in ridicolo, ma questo avrebbe l’effetto di indurre a pensare che la sua statura criminale fosse esagerata. Un boss che cerca affetto in giro? Che s’imbottiglia nel traffico? Che considera le ultime volontà dell’anziana madre? E anche le reazioni al riferimento osceno alle celebrazioni, alla fin fine, contribuiscono a inquinare le acque.

C’era bisogno di questo messaggio per capire l’immoralità dell’uomo? Si può pensare che una persona del genere avesse dubbi? Se li avesse avuti, si sarebbe costituito. E questo nulla c’entra con concezioni punitive della pena. Matteo Messina Denaro, come tutti i rei, potrà essere rieducato, o almeno ha il diritto provarci, in uno stato democratico. Ma certamente non con questi mezzi, non con quest’iconografia da film scadente, non raccontandoci delle sue eventuali sedute di psicoterapia e della sua paura della morte, non spoilerando the bad guy.

Rispetto per le vittime 

Ci sono casi in cui tacere certi contenuti non è censura, ma riserbo, pudore, eleganza, rispetto delle vittime. Un’opinione pubblica matura, una stampa responsabile, una sfera pubblica adulta non dovrebbero indugiare sulla squallida quotidianità dei miserabili. Dovrebbero concentrare le energie cognitive sulle questioni reali – i reati, le procedure di giudizio, il lavoro serio e continuo delle forze dell’ordine e dei magistrati. Per favore, i prossimi messaggi, i magneti da frigo, i poster e tutta l’altra chincaglieria risparmiatecele. Dateci, al loro posto, una spiegazione decente della libertà di cui questo signore ha goduto per trent’anni.

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