Ma le Expo, i Mondiali, i grandi eventi, se organizzati in regimi come l’Arabia Saudita, possono essere l’opportunità per fare avanzare, seppur debolmente, i diritti civili e politici in quei paesi? O non sono piuttosto un’occasione di legittimazione internazionale, per quei regimi? Da troppo tempo il mondo libero non si pone questa domanda, pur così importante. Nel 1936 le Olimpiadi di Berlino furono per il nazismo una straordinaria occasione di propaganda, all’estero e in patria. Con l’alibi che, in quel caso, le Olimpiadi erano state assegnate prima dell’arrivo di Hitler. Qui non c’è neppure quell’alibi.

L’Arabia Saudita è in assoluto uno dei regimi più oppressivi e feroci, nel mondo. Secondo Amnesty International, nel 2022 l’«illuminato» Bin Salman ha mandato a morte 196 persone; 81 in un solo giorno. Sono numeri triplicati rispetto all’anno prima (a proposito di Rinascimento…), secondi soli a quelli dell’Iran (576).

Quanto al 2023, già a settembre le esecuzioni capitali erano più di 100. Non solo, in Arabia Saudita migliaia di lavoratori migranti vengono «arbitrariamente detenuti in condizioni disumane e torturati». Nel 2022 è entrata in vigore la «legge sullo status personale» che ha sancito, a livello legislativo, la discriminazione contro le donne e il sistema di tutoraggio maschile. In quel paese non è in atto quindi alcun serio miglioramento, come pure si è dovuto leggere in Italia.

Semmai, è nostro dovere dire che l’Arabia Saudita utilizza il suo abbondante denaro, dal petrolio, per comprare consenso nel resto del mondo e propagandare un’immagine di sé agli antipodi della realtà. La sua dilagante vittoria per l’Expo 2030 (119 voti), stracciando l’Italia (17 voti) e anche la Corea del Sud (29), in questo senso è solo l’ultimo campanello d’allarme di una situazione che le democrazie liberali hanno a lungo sottovalutato, colpevolmente.

Che facciamo con i paesi, nostri alleati, che violano con ferocia i diritti umani? Far finta che sia un problema minore, come è stato fatto finora in nome del “pecunia non olet”, o della necessità geopolitica, peggiora la situazione. In realtà ci sono due cose che possiamo e dobbiamo fare, molto concrete. Primo, occorre battersi per inserire il rispetto dei diritti umani come criterio, stringente, per l’assegnazione di grandi eventi. E poi anche per la partecipazione: se da qui al 2030 l’Arabia Saudita non rispetterà i diritti umani dei residenti e dei lavoratori migranti, le democrazie liberali dovranno boicottare l’Expo (quello che non ebbero il coraggio di fare con i nazisti).

È un problema di indebolimento valoriale del mondo libero, di perdita di attrattiva. Ma noi siamo attrattivi! Pensiamo alle partnership che potremmo attivare in Asia, in Africa o in America Latina, agli investimenti che potremmo portare, ad esempio sulla conversione ecologica, o nella salute, o nelle infrastrutture sociali ed economiche. Ma dobbiamo abbandonare le logiche prudenziali del passato, se vogliamo competere nel mondo multipolare. Non è con l’arroccamento e con l’ipocrisia, o peggio con la complicità con i regimi, che si difendono le società libere. Ma con politiche coraggiose e coerenti.

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