Tra gli effetti collaterali della crisi energetica c’è anche la previsione di una nuova stagione per le centrali a carbone, anche in Italia: una misura indigeribile alla luce delle conoscenze sulla pericolosità della combustione del carbone per l’ambiente e la salute.

Seppure la decisione non sembri ancora del tutto definita, si è parlato di massimizzare e prorogare l’attività delle quattro centrali già in funzione di Brindisi, Civitavecchia, Fusina e Monfalcone, e forse anche delle due centrali sarde, che complessivamente hanno una capacità installata di circa 6,67 Giga Watt, meno del 5 per cento della capacità produttiva totale.

Com’è lontana Glasgow

Nonostante impegni e buoni propositi l'uso del carbone è aumentato su scala globale: nel 2021 le emissioni di CO2 dovute all’energia hanno toccato il massimo storico di 36,3 miliardi di tonnellate, con un aumento del 6 per cento (IEA 2021). Il carbone ha pesato per il 40 per cento sulla crescita complessiva delle emissioni di CO2, raggiungendo il massimo storico di 15,3 miliardi di tonnellate.

In Europa le emissioni di CO2 prodotte dalle centrali a carbone nel 2021 sono aumentate del 17 per cento rispetto al 2020.

Eppure si sa che la combustione del carbone contribuisce all’inquinamento globale, il rendimento elettrico lordo dei combustibili solidi è più basso rispetto alle altre fonti, mentre il fattore di emissione di CO2 è molto elevato.

È solida la conoscenza sul fatto che la combustione del carbone nelle centrali elettriche emette più ossidi di azoto, anidride solforosa, particolato e metalli pesanti per unità di energia rispetto a qualsiasi altra fonte di combustibile e compromette la salute delle popolazioni esposte.

Prove sufficienti dell’impatto sulla salute

La letteratura scientifica è indicativa di un significativo effetto negativo delle emissioni di particolato e di idrocarburi policiclici aromatici sulla morbilità e sulla mortalità. Inoltre, lo smaltimento delle ceneri di carbone espone le comunità a metalli pesanti e a particolato.

In tutto il ciclo del carbone, gli impatti negativi sono avvertiti in modo sproporzionato dalle persone di basso livello socioeconomico, contribuendo alle disuguaglianze sanitarie.

Le prove fornite da studi epidemiologici sulla relazione tra l'esposizione all'aperto alla combustione di carbone e gli esiti respiratori suggerisce un aumento del rischio, in particolare di bronco-pneumopatie cronico-ostruttive (BPCO), altre malattie respiratorie e asma.  D’altra parte, gli studi sull'introduzione di misure volte a ridurre la combustione di combustibili solidi hanno mostrato un miglioramento della qualità dell'aria con conseguente riduzione degli effetti respiratori avversi.

Anche in Italia i risultati preoccupanti sono emersi da vari studi nelle aree di Civitavecchia, Vado Ligure, Monfalcone e numerosi altri siti con presenza di centrali a carbone e impianti chimici come Taranto e Brindisi.

Le nuove prove

(AP Photo/Channi Anand, File)

Se le conoscenze già disponibili non bastassero, alcuni recenti studi ne hanno aggiunte altre sul maggior rischio del particolato prodotto dalla combustione del carbone sulla mortalità umana.

Studi sulla mortalità in regioni con particolato PM2,5 maggiormente legata ai combustibili fossili, in Cina, India, Stati Uniti, Europa e Sud-Est asiatico, hanno stimato un eccesso di morti per infezioni respiratorie nei bambini di 0-4 anni.

Un recente editoriale sulla importante rivista Environment International richiama due nuovi studi che forniscono prove sui rischi maggiori legati all'esposizione a lungo termine alle componenti del PM2,5 legate alla combustione del carbone, in particolare a carico maschi, giovani, minoranze, residenti in ambiente urbano a basso reddito (Thurston 2022).

Componenti del PM2,5 riferiti alla combustione del carbone, al traffico e in misura minore al suolo, sono stati fortemente associati con la mortalità da malattie cardiovascolari, respiratorie e tumori.

I nuovi studi suggeriscono che analizzare gli effetti sulla salute del PM2,5 in funzione della fonte è più informativo rispetto a ragionare per singoli elementi costituenti (esempio rame, ferro, carbonio elementare) che possono derivare da più fonti diverse per origine e impatti.

Prove tossicologiche ed epidemiologiche indicano che la co-presenza di acidi di zolfo con metalli, tipica della combustione di combustibili fossili, rappresenta un aerosol particolarmente tossico.

Altri studi recenti suggeriscono che la stima degli effetti sulla salute del PM2,5 senza tenere conto della diversa tossicità secondo il tipo di particolato potrebbe aver sottostimato i contributi di mortalità del PM2,5 da combustione di combustibili fossili, e sovrastimato gli impatti delle polveri movimentate dal vento e rilasciate dalla combustione di biocarburanti.

Recenti metanalisi (combinazione di dati di più studi) hanno riportato valori di rischio più alti rispetto a quelli usati in passato. Le conoscenze disponibili indicano che per massimizzare i benefici per la salute dovrebbe essere posta da subito priorità sulla riduzione dell'inquinamento atmosferico da combustione di combustibili fossili.

Nonostante le difficoltà poste dalla crisi energetica, le prove scientifiche accumulate sulla pericolosità dei combustibili fossili e sulla crisi climatica non dovrebbero lasciare spazio per continuare con l’uso del carbone.

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