È antica l’idea che per il buon funzionamento dell’economia e della democrazia sia essenziale una classe media ampia e in “buona salute” soprattutto perché fungerebbe da efficace cuscinetto tra i molto ricchi e i molto poveri. Negli anni recenti, però, è stata più volte sostenuta, soprattutto nel nostro paese, la tesi che la classe media si stia restringendo e rischi di sparire, se non è già sparita.

Si può forse sostenere che quella della sparizione della classe media sia una delle varie narrative che dominano la scena nella rappresentazione di molti fenomeni economici e sociali e che rischiano di offuscare una loro più compiuta – spesso non proprio semplice – interpretazione.

La domanda cruciale è su quali dati e quale evidenza empirica si basa quella tesi. Va subito detto che dubitare del restringimento della classe media è cosa ben diversa dal dubitare dell’aggravarsi delle disuguaglianze e spiegheremo brevemente perché. Occorre però partire dalle definizione di classe media, un compito che raramente viene assolto da chi ne proclama la tendenziale sparizione.

La definizione

L’approccio tradizionale, prevalente tra i sociologi, è stato quello di prendere come riferimento lo status occupazionale. Per vari motivi, inclusa la crescente eterogeneità dei redditi a parità di status occupazionale, questa variabile appare inadeguata a indentificare quel segmento di società che chiamiamo classe media.

Si è così diffuso, tra gli economisti, il convincimento che le variabili economiche – soprattutto, ma non solo, il reddito – debbano essere quelle a cui fare riferimento per individuare la classe media. Una volta accettato questo approccio il problema è delimitare i confini di quella classe.

La strada più seguita a livello internazionale è, con riferimento al reddito, assumere come termine di riferimento il reddito mediano (cioè quello dell’individuo che è più povero di metà della popolazione e più ricco della restante metà) e considerare inclusi nella classe media tutti coloro che hanno un reddito compreso tra il 75 per cento e il 150 per cento della mediana.

Questa è la strada che abbiamo seguito anche noi per effettuare i nostri calcoli e il principale risultato che emerge è che la quota di popolazione che rientra in questi confini di reddito risulta abbastanza stabile nel tempo – con un valore di poco inferiore al 50 per cento – e abbastanza stabile è anche la quota del reddito complessivo che affluisce alla classe media.

La disuguaglianza della ricchezza

Dunque, la possibilità di parlare di un chiaro restringimento della classe media appare preclusa. Emergono, comunque, alcuni risultati di interesse: ad esempio, le distanze fra la classe media e quella agiata sembrano essersi lievemente accentuate e, inoltre, a conferma dell’insufficienza del guardare alla sola occupazione per fornire una definizione di classe, un numero crescente di impiegati ha una retribuzione che li porta a situarsi fra i poveri.

Si può aggiungere che diversi studi precedenti, simili ma basati su una definizione diversa, più ristretta o più ampia, della classe media, giungono a risultati che sembrano confermare la nostra conclusione sull’assenza di prove convincenti di un significativo restringimento della classe media.

Anche guardando alla ricchezza invece che al reddito non emergono cambiamenti di rilievo. La quota di popolazione definibile come classe media in base alla ricchezza risulta, infatti, sostanzialmente stabile, così come lo è la quota di ricchezza complessiva detenuta da tale classe. Tuttavia, va notato che la quota di ricchezza complessiva appropriata dalla classe media è abbastanza limitata (circa il 15 per cento, e quasi esclusivamente sotto forma di case) a causa della ben nota elevata disuguaglianza della ricchezza.

Composizione che cambia

È, però, di interesse il fatto che la ricchezza della classe media sembra provenire sempre più da eredità e ciò potrebbe segnalare un indebolimento della capacità della classe media di accumulare ricchezza attraverso il proprio risparmio, anche a causa di redditi da lavoro ormai stagnanti in termini reali da diversi decenni.

L’assenza di significativi cambiamenti nella ampiezza della classe media non implica che non vi siano problemi. Un problema rilevante è certamente la combinazione di una maggiore concentrazione del reddito nella parte più alta della distribuzione – cioè tra i più ricchi tra i ricchi – accompagnata a un inspessimento della coda bassa della distribuzione dove vi sono coloro che ricadono nell’area della povertà o in quella appena al di sopra di essa.

Questi cambiamenti, molto in alto e molto in basso, sono, in realtà, compatibili con una sostanziale invarianza dell’estensione della classe media. È così perché allo scivolamento verso la classe media di qualcuno che eccedeva il suo confine superiore si può contrapporre lo scivolamento verso l’area della povertà e dintorni di qualcuno che precedentemente era nella classe media.

Dunque la classe media non si è ristretta ma potrebbe avere cambiato composizione. Alla verifica di questa ipotesi abbiamo iniziato a lavorare. Se essa risultasse confermata diventerebbe possibile conciliare le percezioni soggettive di peggioramento da parte di molti di coloro che erano parte della classe media con il dato oggettivo dell’invariata estensione di quest’ultima.

Inoltre, e soprattutto, si chiarirebbe che forse ciò che più conta per un’economia e una democrazia ben funzionanti non è tanto avere una classe media di ampie e tendenzialmente invarianti dimensioni quanto piuttosto che la classe media sia un crocevia di mobilità sociale: non soltanto verso il basso come sembra essere accaduto ma anche verso l’alto.

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