La nuova amministrazione Biden avrà molto da fare per rivedere la strategia americana nel continente africano. Certamente dovrà riprendere a dialogare con i leader dopo che Donald Trump decise di non occuparsene: è rimasta tristemente famosa la frase sui “shithole countries” (cesso di paesi) con cui definì gli africani. Anche dalla fase precedente, in cui fu coinvolto, Joe Biden eredita ben poco da Barack Obama, che preferì occuparsi dell’Asia. Gli Stati Uniti hanno fatto passi indietro in Africa: l’Africom – il comando militare continentale – se n’è andato; scarse le iniziative dal punto di vista della sicurezza; stagnanti gli investimenti; in crisi le vecchie alleanze come con l’Etiopia; grandi spazi occupati da Russia e Cina. L’unico successo è stato la fine delle sanzioni al Sudan in cambio delle relazioni diplomatiche con Israele. Biden dovrà rivedere tutto questo partendo dalle situazioni più urgenti.

Innanzitutto la guerra interna in Etiopia e il suo conflitto frontaliero con il Sudan. Si tratta di due paesi che stanno a cuore alla politica americana. L’opinione pubblica è stata sempre sensibile alla situazione sudanese, sostenendo in particolare l’indipendenza del Sud Sudan e l’autonomia del Darfur. Le varie amministrazioni americane hanno notevolmente lavorato su tali dossier e accolto la recente transizione a Khartoum con soddisfazione. Ora l’ostilità con Addis Abeba è vissuta a Washington come una complicazione. I democratici cercheranno di riattivare i rapporti con Addis che per anni è stata un alleato fedele nella guerra agli Shabab. Biden e il segretario di Stato, Tony Blinken, dovranno mediare tra i due paesi e cercare di convincere il premier etiopico Abiy Ahmed a risolvere politicamente il suo contenzioso con i tigrini.

L’altra priorità per Biden è la Nigeria. Il presidente eletto ha nominato due nigeriano-americani nella sua equipe: il quarantenne Adewale Wally Adeyemo sarà vice ministro del tesoro e la ventiseienne Osaremen Okolo farà parte del team anti Covid. L’interesse per la Nigeria è cresciuto negli anni in maniera bi-partisan a causa delle dimensioni del paese e dei suoi successi, anche se con accenti diversi. Per i repubblicani si tratta di un paese di forte espansione del cristianesimo neo-evangelicale. La sensibilità repubblicana si concentra sulla violenza dei Boko Haram, sugli attacchi ai cristiani e sul dialogo con l’islam.

I democratici guardano invece all’economia e alle questioni legate alla democrazia e alla corruzione. Al centro del loro interesse sono le dimostrazioni dei giovani anti-Sars (il nome delle squadre speciali di polizia accusate di violenze contro i civili) e la crescita della società civile organizzata. Nella sinistra americana si fa spesso il parallelo tra il movimento Black lives matter e quello nigeriano End Sars: in entrambi i casi l’accusato è la polizia violenta.

Occupare spazi persi

Infine Biden dovrà dotarsi di una strategia per rioccupare spazi persi in favore di Cina e Russia. Si tratta di riportare nel continente un’influenza politica americana che manca da troppi anni. Zone di tensione a causa della penetrazione jihadista necessitano di una revisione in termini di sicurezza. È plausibile che la nuova amministrazione provi a usare la leva del multilateralismo, così come a rafforzare il dialogo con l’Unione africana, in grave crisi di vocazione. Biden non sarà morbido con Mosca che ha rimesso in campo il suo classico arsenale di armi e contractors.

Più complessa è la ridefinizione del rapporto con Pechino che ha posto in opera il segmento africano della Belt and road initiative, mediante la costruzione di ferrovie e la ristrutturazione di porti. I democratici sono favorevoli alla libertà del commercio anche se temono il protagonismo cinese. In ogni caso dovranno impegnarsi molto per convincere gli scettici leader africani, rimasti delusi fin dall’epoca di Obama dal poco interesse americano per il loro continente.

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