Quale sarà il futuro dell’Italia? Forse lo spopolamento interno, il declino demografico che porta con sé anche il declino economico e culturale? E come possiamo evitarlo? Se l’inverno demografico è un pericolo reale, già in corso, la politica più adatta a fronteggiarlo non è quella conservatrice e nazionalista, come una certa vulgata vuol far passare. Al contrario, è quella che proviene da una visione progressista fondata su diritti e inclusione, e su un approccio razionale e relazionale, privo di pregiudizi.

Partiamo dai dati. L’Italia si distingue in Europa soprattutto per una natalità da lungo tempo molto bassa: la media Ue è scesa a 1,5 figli in media per coppia, l’Italia è da 40 anni sotto tale livello, e di recente il dato è ulteriormente peggiorato. Questo aspetto si lega a un doppio svantaggio competitivo dell’Italia. Il primo è, a fronte dell’aumento della componente anziana, una maggior riduzione della forza lavoro potenziale.

Il secondo svantaggio competitivo è il sottoutilizzo del capitale umano delle nuove generazioni e delle donne: per il primo aspetto, si pensi che la Germania presenta una percentuale di Neet (i giovani che non studiano e non lavorano) pari a meno della metà dell’Italia; per il secondo, si pensi che la Svezia presenta un divario occupazionale di genere di circa 5 punti percentuale, nell’Unione è pari a 10, mentre in Italia siamo al doppio, quasi 20 punti (e questo è in buona parte riconducibile al gap fra l’occupazione delle donne senza figli e con figli).

Da notare peraltro che questo sottoutilizzo del capitale umano delle nuove generazioni e delle donne, oltre a non rendere efficiente la forza lavoro attuale, frena anche la realizzazione dei progetti di vita e quindi tiene bassa la natalità: di conseguenza, riduce ancor più la forza lavoro futura. Più in generale la combinazione di questi due svantaggi competitivi incide molto negativamente sulle prospettive di crescita della nostra economia e indebolisce la sostenibilità del sistema di welfare, andando ad alimentare ulteriori squilibri futuri (finendo per peggiorare anche le condizioni di vita della popolazione più anziana).

Un paese che discrimina

Non c’è solo questo. Rispetto agli altri principali paesi dell’Europa occidentale, l’Italia presenta una bassa capacità di gestione delle migrazioni e di integrazione degli stranieri, che vengono presentati e gestiti come emergenza continua e non come parte integrata del modello sociale e del processo di sviluppo del nostro paese. Inoltre, l’Italia è ancora oggi il paese dell’Europa occidentale che maggiormente discrimina in base all’orientamento sessuale, non riconoscendo la possibilità di tutti, persone Lgbtq+ comprese, di piena realizzazione e attuazione dei propri progetti di vita (fra cui c’è anche la genitorialità). Eppure, gli studi mostrano che la chiave per tornare a mettere in relazione positiva economia, demografia e welfare sta nel consentire a quante più persone di sentirsi ed essere pienamente incluse: fare in modo che le diversità non diventino diseguaglianze, ma, al contrario, siano poste nelle condizioni di generare valore condiviso.

Per giovani e donne

In concreto, questo si traduce nel diritto dei giovani a un lavoro sicuro e di qualità e nel diritto alla casa; nel diritto delle donne di vedere pienamente valorizzato il proprio capitale umano e di non dover rinunciare a lavoro e carriera per la nascita di un figlio; nel diritto degli immigrati di poter trovare piena inclusione e sentirsi parte integrante del modello sociale e del progetto di sviluppo del Paese, a differenza di quel che avviene oggi; nel diritto di tutti coloro che non possono avere figli di accedere a condizioni e strumenti che consentano di beneficiare dell’innovazione delle tecniche di procreazione assistita, e di efficienti meccanismi di adozione nazionale e internazionale con al centro l’interesse dei bambini, senza discriminazioni o pregiudizi che escludono a priori alcune categorie di potenziali genitori, comprese le coppie omosessuali.

Tutti questi diritti si rafforzano, tra di loro, con politiche adeguate. Ad esempio i servizi per l’infanzia di qualità, come gli asili nido, devono essere un diritto per qualsiasi bambino che nasce in Italia; perché aiuta ad armonizzare tempi di vita e di lavoro, quindi riduce la rinuncia soprattutto femminile al lavoro se si sceglie di avere figli; perché consente alle coppie con figli di poter contare su due redditi, rafforzando quindi il diritto delle nuove generazioni di poter crescere in un ambiente economicamente sicuro, contenendo il rischio di deprivazione economica e povertà educativa. Un altro esempio è il congedo di paternità che deve poter essere equiparato a quello di maternità, perché favorisce il coinvolgimento dei padri nella crescita dei figli, con conseguenza non solo di migliorare la possibilità della madre di conciliazione con il lavoro, ma di rafforzare il diritto della figlia o del figlio al tempo con il padre e di promuovere una cultura della condivisione della cura.

Sia chiaro, poi: c’è anche il diritto a non avere figli, ma che sia garantito davvero come libera scelta, non certo come rinuncia perché mancano le politiche familiari e di conciliazione.

In sintesi. Il declino demografico è un problema grave per l’Italia, che alimenta ed è alimentato dal declino economico. Proprio per questo, occorre evitare la tentazione di lasciare tale tema ostaggio di una visione conservatrice e nazionalista: perché questa è foriera di politiche che non risolvono il problema, ma spesso lo aggravano minando le condizioni di coesione sociale e sviluppo inclusivo. Al contrario è la via alternativa fondata sulla libertà e sui diritti quella che, tenendo assieme benessere collettivo e realizzazione personale, può consentire di invertire la rotta.

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