C’è una litania che contraddistingue i decisori politici del Veneto: se ci sono disfunzioni, ritardi nell’attuazione di opere strategiche, questo è sempre colpa della burocrazia nazionale, che si somma a quella europea.

Di recente l’abbiamo letta sulla stampa locale, pronunciata dal presidente della regione Luca Zaia in occasione dell’ultimo gravissimo incidente avvenuto sull’autostrada Venezia-Trieste (A4), all’inizio del tratto che fino al nodo di Portogruaro è rimasto a due sole corsie per senso di marcia. Tratto “maledetto”, di 25 chilometri – lungo il quale si verificano frequenti incidenti mortali – di un’infrastruttura tra le più trafficate del nord est da mezzi pesanti e gravata dai flussi turistici.

La classe politica che governa il Veneto – dal 1995 –  ha sempre considerato l’attività di pianificazione e di programmazione come adempimento burocratico, non necessaria per elaborare politiche e piani  sulle infrastrutture di trasporto nel medio periodo.

Eppure, le profonde trasformazioni degli ultimi 30 anni, che hanno determinato il primato del Veneto in termini di degrado ambientale, sono avvenute in assenza di due importanti strumenti di previsione e di coordinamento: Il Piano territoriale regionale di coordinamento e il Piano regionale dei trasporti.

I piani mancanti

Il primo (Ptrc) rappresenta lo strumento di governo del territorio, che dovrebbe indicare gli obiettivi e le linee principali di organizzazione e di assetto del territorio regionale.

Fino al 2020, anno di entrata in vigore del nuovo piano, lo strumento vigente era ancora quello approvato nel 1992. Il piano finalmente approntato non ha valenza di piano paesaggistico. Questo ci fa comprendere come in questa regione paesaggio e territorio siano intesi come dimensioni separate.

Il secondo (Prt), che dovrebbe promuovere un sistema di mobilità sostenibile, è stato anch’esso approvato nel 2020, in sostituzione del precedente del 1990, e si richiama al piano adottato nel 2005. Quest’ultimo sembrava si facesse almeno parzialmente carico del recepimento del processo di trasformazione del territorio.

Leggendo le relazioni illustrative, entrambi gli strumenti (Ptrc, Prt) vengono definiti necessari per “adeguare” i piani precedenti alle trasformazioni intervenute in questo lungo lasso di tempo.

Si limitano però a registrare le dinamiche di sviluppo e le trasformazioni territoriali di questi ultimi anni che si sostiene abbiano raggiunto, “nel loro rapporto con la risorsa territoriale, soglie quantitative veramente elevate tali da non rendere più desiderabile una prosecuzione di tali trend e da imporre di ripensare il futuro dell’assetto insediativo”.

Che l’autostrada Venezia –Trieste sia nello stato descritto nelle cronache più recenti, che hanno denunciato il triste primato degli incidenti mortali lungo i 210 chilometri di competenza di Autovie Venete – ora della nuova società Alto Adriatico, partecipata dalle regioni Veneto e Friuli Venezia Giulia – è noto da tempo a tutti.

Anche il completamento della terza corsia, dove ancora manca, non riuscirà a far fronte agli ingenti flussi di traffico che gravano su questa infrastruttura, fortemente interconnessa con altri importanti assi autostradali, e che si prevede raggiungeranno nuovi record di percorrenze per quanto riguarda i mezzi pesanti.

Leggendo le dichiarazioni dei principali operatori della logistica del nord est, che ci ricordano che le merci nel nostro paese, e soprattutto nelle sue aree più sviluppate del centro nord, si spostano oggi per il 93 per cento su gomma e che è necessario dare servizi adeguati

a questo tipo di trasporto: una volta realizzata la terza corsia, sulla A4 bisognerà fare ulteriori investimenti.

E così, se non si potenzia il trasporto delle merci su ferro e quello intermodale, se non si governano e programmano le trasformazioni del territorio, avremo sempre più bisogno di consumare suolo e di fare investimenti sulle infrastrutture viarie, distruggendo il territorio.

Vietato disturbare

A dimostrazione che questa è la logica imperante, proprio lungo il tratto dell’autostrada A4 che precede il “collo di bottiglia”, nei pressi dei caselli di Quarto d’Altino e di Meolo-Roncade è prevista la realizzazione di poli logistici e del commercio elettronico generatori di imponenti flussi di traffico di mezzi di trasporto pesanti.

La grande accessibilità di cui gode quest’ambito ha generato nel territorio dei comuni di Casale su Sile e di Roncade effetti di attesa di rilevanti aumenti di valore delle aree e ha favorito varianti radicali negli schemi di uso del suolo.

I due comuni, tra loro confinanti, sono vicini ai caselli autostradali che nel Piano territoriale di coordinamento vengono definiti “aree strategiche prioritarie per la mobilità, di rilevante interesse pubblico”.

La valutazione della coerenza degli interventi effettuati in queste aree, in relazione agli obiettivi, viene effettuata dall’Autorità ambientale per la Valutazione Ambientale Strategica (Commissione regionale VAS).

L’area interessata da questi progetti è più di 73 ettari, che sono in deroga al consumo di suolo. Un utilizzo del suolo così rilevante non viene previsto e programmato dal Piano territoriale e da quello dei trasporti che non sono stati concepiti come strumenti tra loro coordinati.

Le decisioni vengono assunte dalle amministrazioni locali, in un ambito decisionale dove è più facile adattare i piani urbanistici alle pressioni dei vari gruppi di interesse.

È la conferma che in questo contesto si è radicata una subcultura politica che ha coltivato una forte complicità tra economia e con gli svariati interessi particolari fondati in larga parte sulla rendita.

Qui vige un solo principio: non disturbare gli imprenditori. Lo stesso richiamato di recente da Giorgia Meloni Il suo partito, Fratelli d’Italia, in Veneto ha sempre fatto parte della maggioranza di governo e che nelle ultime elezioni politiche proprio in questa regione ha raggiunto la percentuale di voti più elevata a livello nazionale. Rispetto al governo del territorio, Lega e Fratelli d’Italia sono intercambiabili.

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