L’incredibile fallimento andato in scena in Senato ha co-ispiratori e responsabili diretti. Lo possiamo dire ex post, si intende, perché fino all’altro ieri le ragioni della continuità e le spinte per garantirla apparivano talmente forti da poter contrastare le tante derive in senso opposto. Nel pieno di una guerra in Europa, con tutto quello che ne consegue a cominciare dall’emergenza energetica, la politica italiana da un calcio al premier che aveva invocato come salvatore della patria in un meschino vortice di risentimenti, inconcludenza e fretta di tornare al voto. Cancella in un pomeriggio il patrimonio di reputazione acquisito presso i nostri principali alleati nel mondo e fa un regalo graditissimo a Vladimir Putin.

Influenza meloniana

In ordine inverso di influenza, il primo co-ispiratore è ovviamente il partito di Giorgia Meloni, che non ha mai smesso di ripetere il mantra “elezioni subito” e ha messo quindi fretta ai suoi alleati impauriti di arrivare alla primavera del 2023 prosciugati.

La richiesta era (per loro) ovvia, i modi sono stati del tutto sgrammaticati. I fratelli di Giorgia sembra non abbiano ancora imparato che la volontà popolare nella nostra repubblica democratica si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione”.

Anche le scelte dell’arbitro sono discutibili, ma fino a che l’arbitro non fischia la fine della legislatura, la sovranità popolare è legittimamente esercitata da chi era stato eletto dai cittadini per rappresentarli in parlamento (punto).

Il secondo co-ispiratore, è quella (larghissima) parte del PD che, all’opposto, ha voluto mantenere Sergio Mattarella al Quirinale e Mario Draghi a Palazzo Chigi, pensando di far durare all’infinito il miracolo di un partito che con il 20% dei voti induce tutti gli altri ad accettare un proprio esponente alla presidenza della repubblica e un capo del governo perfettamente in sintonia con la propria agenda politica. Va detto che di mezzo c’è stata l’invasione russa dell’Ucraina e avere Mattarella, Draghi, Lorenzo Guerini e il Luigi Di Maio atlantista nei posti chiave ha dato all’Italia una posizione solida nei momenti decisivi. Però, come previsto, appena è diventato certo lo scavallamento della scadenza che garantisce loro la pensione (23 settembre), i parlamentari giallo-verdi si sono sentiti liberi di rompere le righe; Draghi è stato bruciato in malo modo e Mattarella potrebbe essere ora “costretto” a rimanere in carica 14 anni per non cedere il passo a un presidente espresso dal solo centrodestra.

Il ruolo di Salvini

Il terzo è Matteo Salvini, su cui c’è poco da dire. Si è ripreso il ruolo di capitano degli anti-immigrati e si è preso una rivincita sui leghisti-di-governo, per ammutolire i quali è stato sufficiente sfruttare lo stile inutilmente urticante scelto dal Presidente del Consiglio per il suo discorso al Senato, come in altre recenti occasioni.

I principali responsabili sono gli ultimi due della lista. Giuseppe Conte si era proposto come civilizzatore del M5S. Al momento della rottura con il Salvini del Papete, pareva pronto a trasformare il partito di Grillo in una squadretta affiatata a sostegno della democrazia liberale, di una UE riformata, in perfetta sintonia con il Quirinale. La gestione della pandemia gli ha regalato popolarità e lo aveva reso credibile come co-fondatore di un nuovo centrosinistra. Avrebbe potuto lasciare di comune accordo la bad company pentastellata con la scusa di generare valore aggiunto e allargare il consenso attraverso un ulteriore marchio. Invece ha seguito le voci di dentro (Rocco Casalino, Paola Taverna) che lo hanno indotto a puntare sull’usato logoro e poi forse anche voci di fuori (che tifano per il disimpegno dell’Italia verso l’Ucraina e la destabilizzazione del nostro quadro istituzionale). Lui è diventato il portavoce dei demolitori, Di Maio il capo dei responsabili.

Ma il disastro poteva essere evitato se Silvio Berlusconi o chi per lui avesse detto: “fermatevi un attimo”. La Lega non avrebbe potuto strappare. Purtroppo, Fi non ha classe dirigente capace di esprimere una linea politica in proprio e Berlusconi si è consegnato a Salvini in cambio di non si sa cosa, contro Confindustria e i vertici del Ppe, andando incontro a una campagna elettorale estiva in cui risulterà invisibile.

I due principali responsabili del disastro, FI e M5S, hanno veramente poche cose in comune. Se non che sono due partiti senza bussola, tanto da causare elezioni anticipate da cui hanno solo da perdere. Andando da soli nei collegi uninominali, i 5S si ridurranno nella prossima legislatura a quattro gatti. Forza Italia, vaso di coccio nella competizione tra Lega e Fdi, continuerà la sua discesa verso l’irrilevanza.

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