Distinguere il populismo dalla destra è un rompicapo che da qualche anno affatica studiosi e storici della politica. L’Italia è un laboratorio interessante per azzardare un’interpretazione che potrebbe essere proficua. Populismo e destra si distinguono nel modo di usare il potere, sia quello informale (opinione) che quello sostanziale (istituzioni).

Può essere utile una comparazione tra il governo Conte I e questo attuale. Il governo Conte I fu un caso esemplare di populismo al potere: due populismi alleati, quello pentastellato e quello leghista, diversi nei bacini elettorali ma ugualmente centrati sulla demagogia dell’anti-establishment nel nome del popolo, quello vero, si intende (plebeo in un caso e della classe media produttiva nell’altro).

Ma era Matteo Salvini a dominare la scena mediatica rispetto a un Giuseppe Conte “avvocato del popolo” – permanentemente tra la gente, a mangiare nutella e parmigiano reggiano, a ballare e cantare, ad attaccare le navi soccorso dei migranti indossando felpe della polizia di stato. Un profluvio di messaggi, immagini, rappresentazioni che impegnavano quotidianamente cronisti e commentatori.

Salvini ha impersonato al meglio la politica populista, parossisticamente attenta a propagandare il verbo del popolo vero contro i suoi nemici – le religioni che non usano il rosario, le famiglie “storte”, gli immigrati, eccetera. Sempre nell’agone, ogni giorno. Si direbbe che il populista è un artigiano: fa tutto in prima persona, rappresentanza diretta; con l’attenzione a non essere confuso con un nuovo establishment, il male contro il quale miete consensi e definisce il popolo vero.

Per non apparire establishment, pur essendo nel governo, occorre sfoderare un eccesso di militante propaganda. Questo fece Salvini – e cadde, sudato, sul campo. Al Papeete di Milano Marittima. La destra, quella che oggi sta al governo, ha metodi molto diversi e non ha una postura populista, semmai plebiscitaria. Giorgia Meloni non si presenta, né mai lo ha fatto, come l’anti-establishment, ma come un establishment alternativo a quello di sinistra.

Non teme di mostrarsi vogliosa di entrare nella stanza dei bottoni, defenestrando chi l’ha preceduta. E, soprattutto, non perde tempo con la quotidiana messa in scena e con i travestimenti populisti. La destra va al sodo, non si affatica con metodi artigianali: occupa le istituzioni metodicamente per imporre la propria idea di nazione. Invece di sudare nell’agone, occupa la televisione e la radio di stato, con l’argomento dispotico “ora tocca a noi” – come se il potere fosse un oggetto di privato possesso.

La destra non si accontenta del consenso effimero, vuole tenere in mano la macchina e governare senza sforzo. Al sudore di Salvini preferisce un esercito di fedeli impegnati nel lavoro quotidiano di limare, nascondere e propagandare. I telegiornali sono il suo Papeete. Lo stato è il suo ambiente naturale e il suo alimento.

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