Il primo punto del programma della destra parla del ruolo dell’Italia rispetto prima all’Alleanza atlantica e, poi, all’Europa. Si chiude così: «Difesa e promozione delle radici e identità storiche e culturali classiche e giudaico- cristiane dell’Europa».

Molti fanno spallucce e lasciano correre sui principi, un abito mentale che ha preparato il successo, non solo elettorale, della destra. Ma quelle parole ci devono preoccupare. I diritti sono il baluardo della libertà personale, morale e civile. Conquistati in seguito a cruente guerre di religione, si sono consolidati quando il diritto pubblico si è separato da visioni identitarie. I diritti non sono posseduti da nessuno.

Servono a difendere non chi gode di una posizione di potere, ma chi non è maggioranza, religiosa o culturale. I diritti sono uno scudo che protegge le nostre credenze individuali da chi tiene in mano il potere coercitivo. Ma se chi esercita questo potere dichiara che le istituzioni sono finalizzate alla “difesa e promozione” di una cultura, secolare o religiosa che sia, allora i diritti perdono la loro funzione di scudo protettivo. Diventano rappresentazione di quel che la maggioranza crede o pensa. E acquistano una valenza aggressiva e discriminatoria.

Non risolvono i contenziosi ma li creano. Diventano divisivi proprio perché si incardinano su visioni identitarie che sono interpretazioni tutt’altro che oggettive. Che cosa vuol dire “radici e identità storiche e culturali”? Chi ci mettiamo in questo calderone: i crociati e i nazisti, i sanfedisti e i cacciatori di ebrei in fuga dalla Spagna dopo il 1492, o anche/invece i rivoluzionari francesi e leninisti, gli antifascisti e i resistenti? La questione delle “radici e identità storiche e culturali” è un campo di battaglia.

E se una maggioranza promette di “difendere e di promuovere” una interpretazione di quelle radici e quella storia, la società vivrà tempi di sciagura. Perché il termine “difendere” implica mobilitazione “contro” nemici. Contro chi vorranno difendere quella loro lettura? Le istituzioni si faranno arma contundente contro chi non ha quella stessa idea delle radici e dell’identità. Un punto rivelatore della trasformazione del diritto in arma di potere è proprio il termine radici “giudaico-cristiane dell’Europa” (espediente, forse, per allontanare i dubbi di antisemitismo).

Il trattino crea un lemma che dovrebbe impensierire gli ebrei credenti, i quali non concepiscono la loro identità come preparazione a quel che sta alla destra del trattino. Il quale, è indicativo di una visione che umilia e crea gerarchie. Con tutta la buona volontà, non ci si può fidare di questa destra perché parte da un presupposto irricevibile: predefinisce le radici e la storia e usa lo stato per difenderle e promuoverle. Questo non c’entra nulla con lo stato di diritto, con i diritti e con i fondamenti dell’Unione europea?

 

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