Negli ultimi mesi, in assenza di trasparenza e di un vero dibattito democratico, la Commissione ha già ritirato o annacquato, e si appresta a farlo ulteriormente, importanti testi o impegni legislativi già assunti. Si tratta di regole conquistate faticosamente, spesso già frutto di compromesso, che consentono di vivere in un’Europa sostenibile e più giusta, nella quale nessuno deve sentirsi lasciato da parte
In occasione del discorso sullo Stato dell’Unione (Soteu) di Ursula Von der Leyen al Parlamento europeo previsto per mercoledì 10 settembre, alcune organizzazioni non governative di caratura continentale hanno promosso una lettera-appello per denunciare la deregolamentazione in corso da parte della Commissione.
Le organizzazioni promotrici – Climate Action Network Europe, European Digital Rights, European Environmental Bureau, European Public Services Union, Friends of the Earth Europe, Global 2000 Corporate e Europe Observatory – non si aspettavano di raccogliere in così poco tempo l’adesione di quasi 500 organizzazioni autorevoli in Europa e anche nel Mondo.
Per l’Italia, insieme a tante note sigle del mondo del lavoro, dell’ecologia e del fair trade, c’è anche il Forum Disuguaglianze e Diversità.
I firmatari si propongono di portare all’attenzione dei parlamenti e dell’opinione pubblica la pericolosa corsa al ribasso in materia di diritti sociali e umani, di tutela del lavoro e dell’ambiente, delle protezioni digitali.
Negli ultimi mesi, in assenza di trasparenza e di un vero dibattito democratico, la Commissione ha già ritirato o annacquato, e si appresta a farlo ulteriormente, importanti testi o impegni legislativi già assunti. Si tratta di regole conquistate faticosamente, spesso già frutto di compromesso, che consentono di vivere in un’Europa sostenibile e più giusta, nella quale nessuno deve sentirsi lasciato da parte.
Purtroppo, la Commissione ha dimostrato che l’annunciato sforzo di semplificazione, a parole e sotto condizione condivisibile, si è trasformato in pura deregolamentazione, al servizio di una miope e distorta competitività delle imprese europee, lasciate libere su base volontaria di applicare standard che invece dovrebbero essere obbligatori. Non è bastata la crisi finanziaria, non è stato sufficiente il dimenticato “DieselGate” per capire che senza regole non c’è giustizia.
Una tendenza che allontana l’Ue e i suoi Stati membri dagli impegni assunti rispetto all’Agenda 2030, che hanno segnato in positivo lo scorso mandato, e che avevano fatto della nostra Unione, il continente dello Sviluppo Sostenibile capace di portare innovazione sociale, ecologica, economica (eh sì, la sostenibilità conviene anche alle imprese, basta leggere l’ultimo rapporto Asvis) ed istituzionale nel cuore delle Nazioni Unite. Una corsa virtuosa verso l’alto, che ora pare schiantarsi, invece di accelerare come in sede internazionale ci si era impegnati a fare.
La lettera-appello non si limita alla denuncia, ma fa proposte in chiara controtendenza, che sarebbero una coraggiosa risposta anche ai recenti ricatti degli Usa di Donald Trump, ai quali troppo supinamente l’Ue si è piegata.
Proteggiamo di più, e non di meno, il nostro welfare, le lavoratrici e i lavoratori, promuoviamo la protezione dei consumatori, legiferiamo contro tutte le forme di discriminazione, a favore della giustizia climatica.
Facciamo attenzione alla privacy e alla protezione dei nostri dati, alla salute individuale e collettiva. Lottiamo contro le sostanze chimiche tossiche che altrimenti dovremo respirare, bere e mangiare: sono più di 350.000 i morti all’anno nell’Ue a causa dell’inquinamento atmosferico.
Esigiamo più trasparenza e “accountability” da parte delle imprese, facciamo in modo che l’Ue si faccia carico degli effetti negativi (spillover effects) delle sue attività in altre regioni del mondo.
Si rafforzino infine la democrazia, la trasparenza e la partecipazione, proteggendo altresì le organizzazioni non governative e quelle sindacali, i difensori dei diritti umani, gli attivisti, i giornalisti. Garantendo consultazione ed inclusione nell’iter legislativo europeo e nazionale, adesso infestato da lobby che remano contro.
Attentiamo il dibattito sullo Stato dell’Unione. Si tratta della nostra Unione. Non lasciamo che si disintegri, resta l’unica grande occasione, la sola opportunità per un continente che deve misurarsi con nuovi scenari, ma che deve farlo sulla base dei valori e degli obiettivi sanciti dagli articoli 2 e 3 dei Trattati europei. Per questo ci vuole un deciso, radicale, cambio di rotta.
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