«Europe must fight». Lo ripete più volte, Ursula von der Leyen, sin dall’esordio del suo discorso annuale, l’atteso state of the Union che dovrebbe rappresentare un bilancio e soprattutto uno slancio programmatico da parte della presidente della Commissione europea. 

Attraversata da scandali, criticata per l’impotenza con la quale ha subìto un accordo impari con gli Stati Uniti, subissata di tentativi di sfiduciarne la Commissione e di malcontento nella stessa aula europarlamentare alla quale oggi si rivolge, von der Leyen fa ricorso all’ormai abusato rally ‘round the flag effect e appella «alla unità» in nome della parola chiave del discorso: «Fight». Scelta fatta proprio per la polisemia: «fight» può indicare più genericamente una lotta, non necessariamente un combattimento militare. Ma che la presidente voglia riferirsi proprio a questo – a uno sforzo bellico dell’Europa – è chiarito sin dalle prime frasi pronunciate, oltre che nei riferimenti multipli alla guerra in Ucraina. 

Von der Leyen dice ad esempio che «è vero che l’Europa nasce come progetto di pace, ma questi tempi non perdonano»; che «non possiamo aspettare che la tempesta passi». Infine proclama: «Europe must fight». E lancia «un appello all’unità»: l’Europa, chiede, «ha lo stomaco per combattere? Ne ha la capacità, o siamo in grado solo di combattere tra di noi, paralizzati dalle divisioni?». Qui chiama alla stretta «tutte le forze democratiche», con sollievo di socialdemocratici e liberali che scattano nell’applauso pensando che il riferimento possa rinsaldare la maggioranza tradizionale europeista. Questo von der Leyen cerca: compattare l’aula. Contro il nemico esterno, la Russia, e sgombrando il campo da autocritiche e critiche: «Serve più pressione sulla Russia», dice. Scalda l’aula con le storie di bimbi ucraini come Sasha da Mariupol. Parla di come supportare in ogni modo l’Ucraina. 

E – come se non fosse stata questa stessa presidente a promettere a Donald Trump l’acquisto di centinaia di miliardi di energie fossili, oltre che di armi – dice che «questo momento serva come momento di indipendenza». 

«L’Europa difenderà ogni millimetro del suo territorio», dice la presidente nelle stesse ore in cui la Polonia denuncia l’attraversamento del proprio spazio aereo da parte di droni russi. «Dobbiamo investire per supportare il fianco est, con un Eastern Flank Watch: dobbiamo investire nella sorveglianza in tempo reale e chiedere agli amici baltici di costruire un “drone wall”». Poi il richiamo alla roadmap della difesa attesa già per il prossimo Consiglio europeo di ottobre. 

«Abbiamo sempre dovuto combattere, per la nostra libertà»: questo è anche uno dei passaggi conclusivi del discorso. 

Le prime mosse su Gaza

I socialdemocratici, marginalizzati nel processo politico da quando la famiglia popolare europea (quella di appartenenza di von der Leyen) ha costruito un’alleanza tattica con l’estrema destra meloniana, hanno scelto con la loro capogruppo, la sancheziana Iratxe García Pérez, di investire la loro quota di pressione negoziale alla vigilia del discorso sullo stato dell’Unione per smuovere von der Leyen su Gaza. Le formazioni progressiste – i socialdem, la sinistra europea e i verdi – hanno anche inscenato un’azione dimostrativa presentandosi in aula in rosso. 

In risposta a queste richieste, stamattina Ursula von der Leyen ha detto che «quel che sta accadendo a Gaza ha scosso le coscienze del mondo», che «la fame indotta dall’uomo non può mai essere un’arma di guerra. Per il bene dell’infanzia e dell’umanità, this must stop. Questo deve finire». Ciò fa parte «di una più sistematica svolta avvenuta negli scorsi mesi, semplicemente inaccettabile: abbiamo visto soffocata finanziariamente l’Autorità palestinese, i piani di insediamento nell’area E 1, azioni e dichiarazioni dei più estremisti ministri del governo israeliano che incitano alla violenza. Tutti tentativi di minare la soluzione a due stati: non dobbiamo lasciare che accada». E poi: «Mi addolora dire queste parole, e so che per tanti cittadini l’inabilità dell’Europa di concordare su una via comune è altrettanto doloroso, si chiedono quante altre cose peggiori debbano accadere prima che vi sia un’unità di reazione. Capisco. Perché quel che sta accadendo a Gaza è inaccettabile».

In termini di azioni, cosa resta? «Molti stati membri si sono mossi da soli, noi come Commissione abbiamo proposto di sospendere parti dei nostri fondi Horizon ma la proposta è bloccata senza maggioranza: non possiamo restare paralizzati. Ecco perché proporrò un pacchetto di misure per trovare una via. Anzitutto, la Commissione farà quel che può fare da sola. Metteremo in pausa il nostro supporto bilaterale a Israele. Bloccheremo i pagamenti in questi ambiti senza compromettere il lavoro con la società civile israeliana o lo Yad Vashem. Faremo inoltre due proposte al Consiglio: sanzioni contro i ministri estremisti e i coloni violenti, e una sospensione parziale dell’accordo di associazione Ue-Israele per quel che riguarda l’ambito commerciale». La Commissione ha competenza esclusiva in ambito commerciale poiché l’Ue è mercato comune. 

Von der Leyen fa promesse che dichiara di non poter mantenere con ogni probabilità: «Sono consapevole che sarà difficile trovare maggioranze, per alcuni sarà troppo e per altri troppo poco; ma ogni istituzione deve prendersi la sua responsabilità». La presidente lancia anche, per il prossimo mese, un Palestine Donor Group che includa uno strumento (finanziario) per la ricostruzione di Gaza, per sforzi internazionali coi partner regionali. 

Dopodiché precisa: «I am a long-standing friend of the people of Israel. Sono da sempre amica del popolo di Israele». Fa riferimento al rilascio degli ostaggi, al fatto che non c’è spazio per Hamas che vuole distruggere Israele e tiene «il futuro della sua stessa gente in ostaggio». 

Il «miglior» accordo con gli Usa. L’economia

Contestata sul patto con Trump pure dagli stessi governi che avevano spinto per una strategia arrendevole, la presidente di Commissione europea allude alle critiche («ho sentito molte cose e capisco le reazioni iniziali») ma rivendica l’accordo e insiste: «È il migliore». 

«Se prendete in considerazione le eccezioni che ci siamo assicurati e i dazi aggiuntivi che gli altri hanno come livello massimo – we have the best agreement. Without any doubt, senza alcun dubbio». 

«Alcuni dei nostri competitor fronteggiano dazi più alti. Ci siamo assicurati che l’Europa avesse il miglior accordo che c’è attualmente, stabiliamo noi le nostre regole, decidiamo noi», dice von der Leyen mentre Trump attacca – anche a patto scozzese stretto – le regole europee sul digitale minacciando (ancora) dazi. 

Dopo aver fallito nel contenere dazi su acciaio e alluminio, estesi anzi da Trump dopo il patto scozzese anche a ulteriori prodotti derivati, von der Leyen ora dice di voler proporre «un nuovo strumento commerciale a lungo termine che si sostituirà alle misure di salvaguardia sull’acciaio, ormai prossime alla scadenza», citando la «sovraccapacità globale» e la «protezione dalla concorrenza sleale» (riferimento alla Cina).

Sul versante economico, la presidente «prosegue i lavori sull’Unione del risparmio e degli investimenti» e annuncia una Single Market Roadmap per il 2028: richiamando al rapporto Letta sul mercato unico, annuncia un piano su «capitali, servizi, energia, telecomunicazione, il 28mo regime (un quadro giuridico, fiscale e societario di rango europeo a cui si possa ricorrere opzionalmente, ndr), conoscenza e innovazione» (con 500 milioni sotto il cappello di “Choose Europe” per «attirare i migliori ricercatori»). 

La Commissione dice di voler collaborare con gli investitori privato per un fondo Scaleup Europe. Inoltre «più tardi incontrerò i ceo delle più grandi aziende tech europee, consegneranno la loro dichiarazione europea su ai e tech, un impegno a investire nella sovranità tecnologica dell’Europa». Tra gli annunci anche un piano da 1,8 miliardi per spingere la produzione di batterie in Europa, un «Industrial Accelerator Act» per settori e tecnologie strategici. Un intero passaggio sul settore auto, in cima alle preoccupazioni del paese di provenienza della presidente: «Cars, auto, questo è un pilastro della nostra industria ed economia, una ragione di orgoglio – a European pride – e dopo aver dato al settore più flessibilità per prepararsi ai target 2025, proporremo di lavorare con l’industria a una nuova iniziativa, la Small Affordable Cars Initiative». 

Dai migranti all’energia: messaggi su doppio fronte

Gli equilibrismi politici di von der Leyen – con il Ppe che sotto la guida di Manfred Weber ha aperto all’estrema destra meloniana dal 2021 e non esita ad accordarsi con essa – si riflettono nei riferimenti e messaggi a destra e sinistra, senza una visione strategica congruente. Per accontentare l’estrema destra – e raccogliendo infatti il plauso del capogruppo meloniano Nicola Procaccini – la presidente fa il pugno duro sui migranti, proponendo «un nuovo regime sanzionatorio che prenda di mira scafisti e trafficanti». Mentre dice di voler «proteggere la democrazia», von der Leyen inquadra sotto questa priorità «l’offrire soluzioni alle preoccupazioni delle persone» e dunque «la protezione delle frontiere esterne: abbiamo proposto di triplicare le risorse dedicate a frontiere e migrazione nel prossimo bilancio».

Mentre dice di voler «mantenere la rotta verso i nostri obiettivi climatici e ambientali», citando il Green Deal, la presidente al contempo – come notato dal capogruppo verde – ha stretto con Trump un accordo per acquistare centinaia di miliardi di energie, fossili compresi. E tra le fonti rinnovabili su cui puntare indica «il nucleare come base». 

Von der Leyen – che in tutti i suoi discorsi sullo stato dell’Unione ha sempre trascurato lavoratori e questioni sociali – annuncia «un’ambiziosa strategia per eradicare la povertà entro il 2050», cita pacchetti «sul costo della vita, a partire dall’energia», ma era stata lei per prima – al traino di Berlino – a bloccare le iniziative per tenere sotto controllo il prezzo del gas, con esito a cascata sui prezzi. «All’apice della crisi dell’energia degli ultimi anni, l’Europa è scesa in campo», dice ora.

Dopo aver avviato un ampio piano di deregolamentazione a colpi di “pacchetti omnibus per la semplificazione”, minando di fatto anche le più innovative direttive sulla responsabilità socioambientale d’impresa (su spinta anche del trio Merz-Macron-Tusk e di governi come il nostro), oggi la presidente von der Leyen sostiene che «per proteggere i posti di lavoro dobbiamo agevolare l’attività imprenditoriare: i pacchetti omnibus fanno la differenza, meno burocrazia, meno norme complesse». Prevede «altri pacchetti omnibus per mobilità militare e digitale». Al contempo convoca «un gruppo di espert» per valutare restrizioni sui social «per la sicurezza online dei nostri figli».

La presidente ammicca ai socialisti nei riferimenti al sociale, a povertà e garanzie per l’infanzia, ai conservatori su migrazione e sicurezza, guarda ai verdi sul green e a Trump per l’energia. Una strategia ondivaga che consegna un discorso coerente solo su un punto: la vocazione «al combattimento».

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