Nel giro di pochi giorni si sono succedute due crisi bancarie, diverse per dimensioni, cause e soluzioni: della californiana Silicon Valley Bank (Svb) e dell'elvetico Credit Suisse (Cs), banca locale non “sistemica” la prima, grande banca globale l'altra. Entrambe hanno  avuto soluzioni eterodosse.

Svb è stata lasciata fallire, mentre Cs è stata comprata (a meno di un decimo del patrimonio netto) dalla grande rivale Ubs, a sua volta salvata dalla Confederazione nella crisi del 2008. Per farlo Ubs ha ottenuto crediti per 100 miliardi di franchi, e garanzie di 9 miliardi sulle possibili perdite di Cs. Segue qualche riflessione sulle soluzioni scelte, sulle loro conseguenze e sulla possibilità che esse incubino nuove crisi.

Negli Stati Uniti paga lo zio Sam

Le cause immediate sono intrinseche all'attività bancaria, legate più che al finora moderato calo della liquidità, soprattutto al ripido rialzo dei tassi, che svaluta i titoli a tasso fisso emessi quando erano bassissimi. Si calcola che le banche Usa abbiano ora maturato perdite potenziali su titoli a lungo termine di oltre 600 miliardi di dollari; la cifra supera i 350 miliardi di euro per le banche europee.

Svb doveva far fronte alla fuga dei depositanti, attratti da banche con offerte più generose o spaventati dalle voci sulla fuga dei clienti. Ha perciò venduto obbligazioni a lungo termine, di solidi emittenti ma a tasso fisso, i cui corsi erano scesi per i rialzi in atto. Con la vendita, le perdite di 15 miliardi di dollari, fin lì cartacee, sono divenute reali, e letali.

Avviata al fallimento Svb, il Tesoro Usa, la Federal Reserve, l'agenzia federale che assicura i depositi e il regolatore californiano hanno adottato due provvedimenti. Sul lato del passivo, han garantito tutti i depositi di Svb, anche oltre il limite, fissato in ben 250 mila dollari; per l'attivo, han concesso alle parti più fragili del sistema crediti garantiti da titoli, accettati al nominale, ben superiore ai corsi di mercato.

Attuati prima, essi avrebbero salvato Svb; la decisione ha sconvolto, non per il meglio, il sistema. Accettare, a garanzia dei finanziamenti, titoli al nominale nonostante i rialzi dei tassi, concede alle banche in difficoltà ingenti sussidi, negati ai debitori in difficoltà nella crisi del 2008. Rimborsare i depositi oltre la soglia dei 250 mila dollari tranquillizzerà i clienti, ma può indurli ad affidarli a banche traballanti che, affamate di liquidità, li pagano troppo; tanto a rischiare sarà lo zio Sam, che potrebbe subire costi insopportabili anche per le sue ampie spalle.

Il caso Credit Suisse

Ubs pagherà 3 miliardi di franchi le azioni Cs, meno di un decimo del patrimonio contabile, ma non pagherà debiti subordinati di Cs per 16 miliardi. La decisione, condizione necessaria per l'accordo e pur consentita dai contratti obbligazionari, stravolge l'ordine delle priorità nei rimborsi, per cui i subordinati van colpiti solo dopo l'azzeramento dell'equity. S'è forse voluto limitare i danni dei grandi azionisti mediorientali di Cs, là detentori di importanti patrimoni e dotati di una memoria più lunga degli istituzionali, principali creditori subordinati. Gli azionisti, di Ubs o di Cs, non hanno avuto voce in capitolo; lo shotgun marriage, sposalizio, davanti a un fucile spianato, è stato arrangiato nel weekend dai vertici di Ubs e Cs col governo e la Banca nazionale svizzera. La discrezionalità è stata massima e l'interesse della Confederazione ha prevalso sulle clausole contrattuali.

Svb è crollata per errori nella combinazione di attivo e passivo, sfuggiti ai vigilanti anche per la sua dimensione – attivo sotto i 250 miliardi di dollari – che la esentava da norme più stringenti. Cs invece affonda per una serie di disavventure comportanti grosse perdite per la banca o per i clienti, che han minato la fiducia nei suoi controlli interni; di qui la fuga di capitali per oltre 100 miliardi di franchi nel 2022, una valanga devastante.

La più leggera regolamentazione Usa è dovuta all'intenso lobbying contro oneri e vincoli; in Europa va meglio, ma le regolamentazione svizzera, pur ricalcando dappresso quella della Ue, non ha salvato Cs. Entrambe le banche sono defunte pur rispettando fino alla tomba i vincoli regolamentari, il che causa forti dubbi sulla loro utilità.

Tutte assieme tali decisioni modificano i connotati dell'attività bancaria, fondata sulla fiducia fra le parti, che in un sistema di mercato va garantita da risorse pubbliche solo entro dati limiti. Cs mostra che la reputazione conta, ma neanche una banca ben più solida sopravvivrebbe alla fuga in massa dei clienti.

Le regole del gioco 

Tali scelte hanno irritato altri regolatori, specie la Banca centrale europea, perché distorcono la concorrenza e alterano il sistema; non rimborsare le obbligazioni subordinate è un pericoloso precedente. Esso potrà penalizzare questo cuscinetto finanziario, utile ad assorbire perdite nelle banche.

Anche le scelte americane, come l'abolizione del limite alla tutela dei depositi, fanno preoccupare. Se il limite fosse rimasto, il fallimento di Svb sarebbe stato pagato, oltre che dagli azionisti, anche dai grandi depositanti, le start up finanziate dai venture capitalist della costa ovest. A pagare sarebbero stati quei grandi fondi, ben pasciuti, sempre pronti a magnificare la superiorità del mercato. Non è questione di “azzardo morale”, ma di tenuta delle regole del gioco. Se i dadi sono truccati, si rischia il rigetto del sistema perché iniquo. E non vale dire che sono solo pochi grandi casi; è proprio la grande dimensione a renderli odiosi.

Le grandi banche, è stato detto, sono globali in vita, ma nazionali alla morte. Gli attivi della nuova Ubs supereranno di oltre due volte il pil della Svizzera; con quali mezzi potrebbe essa salvare, di nuovo, il gigante risultante dalla fusione? Magari Berna vorrà tenere solo le attività di banca commerciale nazionale, liberandosi così delle altre parti di Cs, coi loro pesanti rischi.

Ci sono tre diversi approcci per evitare le crisi: togliere alle banche ogni rischio di credito o di mercato; alzare molto i requisiti di capitale e di liquidità; separare le attività più rischiose dalle altre. Ognuno ha implicazioni rilevanti, che qui non si possono approfondire.

Rivoluzionare il sistema

Alle crisi sono state date soluzioni efficaci nell'immediato, ma capaci di causare gravi problemi a lungo andare. Ora si teme per Deutsche Bank; nessuno sa se avremo presto altre crisi, ma se vogliamo evitarle il sistema va rivoluzionato. Pare ormai chiaro che la stabilità finanziaria non può convivere con mercati del tutto liberi e con banche in grado di assumere ogni rischio. E come scriveva qui ieri Giovanna Faggionato, mentre negli Usa il grosso dei flussi passa dal mercato, in Europa sono le banche l'arteria vitale dell'economia.

Si staglia sullo sfondo la vera, grande questione, la mutazione genetica del capitalismo negli ultimi 40 anni: la finanza domina l'economia anziché servirla, a tal fine piega le regole a proprio vantaggio, facendo balenare agli occhi di tutti le catastrofi che altrimenti ci flagellerebbero.

La mano invisibile del mercato funziona in economie abitate da una miriade di operatori, prive di grandi oligopoli; funziona male se cinque giganti dominano il settore Itc, o cinque grandi gruppi finanziari possono, se vogliono, incontrarsi per decidere dove deve andare il mercato Usa. L'antidoto a tali deviazioni, l'attività Antitrust, è inadeguato al fine, troppo lento e condizionabile dai grandi operatori.

Nelle nostre economie sviluppate le crescenti disuguaglianze e l'ascensore sociale quasi bloccato cambiano i connotati al sistema. La crescente prosperità e la possibilità di programmare la propria vita che esso ha dato ai suoi cittadini ora svaniscono, e le iniquità risultanti non promettono bene per il futuro. È facile scommettere su un graduale abbandono della lotta all'inflazione: l'instabilità finanziaria fa ancora più paura.


 

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