Né il Washington Post, né la stessa Ong americana World Central Kitchen, come molti altri d’altronde, credono all’“errore” nel caso dell’uccisione dei sette operatori umanitari: pare che i colpi siano stati tre, ciascuno distinto dal successivo e in sequenza distanziata, molto precisi, miranti a colpire personale già ferito che stava trasbordando da un’auto all’altra per evacuare la zona.

Probabilmente si tratta di un’azione dettata dalla politica: un’ulteriore accelerazione del governo Netanyahu mirata ad intimidire il mondo umanitario e mandare il seguente messaggio: andatevene perché dobbiamo attaccare Rafah.

Lo stesso si dica per la nuova occupazione dell’ospedale al Shifa (ma non era stato già bonificato?), durata alcuni giorni e in cui l’esercito israeliano ha detto di aver ucciso centinaia di terroristi e trovato armi, senza tuttavia mostrare nulla di concreto (salvo rovine).

C’è stato anche l’attacco al consolato iraniano di Damasco con il quale Israele ha rotto un altro tabù colpendo una sede diplomatica facendo infuriare tutti. In genere sono i terroristi a compiere azioni del genere: tra stati – anche acerrimi nemici – si rispettano alcune regole come l’inviolabilità delle sedi diplomatiche.

Da quando gli Stati Uniti hanno lasciato passare la risoluzione alle Nazioni Unite che chiede la tregua e il rilascio degli ostaggi, si nota un aumento di azioni rabbiose da parte del governo israeliano, accompagnata da mosse “irreversibili” che tenderebbero ad allargare la guerra.

Netanyahu non si nasconde più: vuole restare al potere e per ottenerlo ha bisogno di un conflitto regionale e cioè che l’Iran cada nella provocazione e dia l’ordine di reagire, direttamente oppure tramite Hezbollah. Solo la “guerra grande” può salvare il potere del primo ministro e in Israele se ne sono accorti ormai tutti: il discorso “in guerra si resta uniti” sta cadendo a pezzi perché è evidente che Netanyahu ne sta approfittando a suo – personalissimo – uso e consumo.

Di fatto il premier ha preso in ostaggio prima la destra ed ora tutto il paese. Questa è la ragione per cui Benny Gantz, membro autorevole del gabinetto di guerra, ha spezzato l’unanimismo di facciata chiedendo elezioni anticipate a settembre. Gantz era già stato da solo negli Usa, una visita che aveva fatto infuriare il primo ministro.

Intanto sono riprese con forza le manifestazioni anti Bibi.

Solo una svolta

A sostegno di Netanyahu restano i partiti estremisti dei ministri Smotrich e Ben Gvir (che sta armando quanti più coloni possibili nella West Bank) e buona parte dei deputati del Likud che non vogliono rischiare il posto: tutti i sondaggi danno infatti il partito in forte calo.

Ci si chiede se i piccoli interessi personali possono mettere a repentaglio il futuro del paese, trascinando tutti in un conflitto allargato di cui non si conosce l’esito. Paradossalmente è la medesima agenda di Hamas che può sopravvivere solo con la guerra. Ciò si salda con altre spinte eversive e terroristiche, particolarmente in Iran e in Libano ma non solo, che puntano al tanto peggio tanto meglio.

Nell’attuale situazione caotica in cui i pericoli aumentano, solo una svolta in Israele può bloccare la deriva. È questa la superiorità delle democrazie su qualunque altro sistema: che i cittadini e politici illuminati possono sempre e in ogni momento dire “basta”.

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