Vedi alla voce “cringe”. Questa anomala campagna elettorale estiva sdogana l’imbarazzo come categoria della politica. E a farsi promotore del mutamento epocale non poteva che essere Matteo Salvini, il leader politico più grottesco d’Occidente.

Impegnato in un complicato rush elettorale nel quale gli tocca far dimenticare d’essere stato organico al governo Draghi fino alla penultima ora (mica un imbucato al buffet, che poi magari se ne va in giro a dire che le tartine erano micragnose), il segretario della Lega piazza performance che suscitano sconcerto misto a tenerezza.

Rivendica d’ufficio il ritorno al Viminale come si trattasse di un reintegro nel ruolo dopo aver vinto un ricorso al Tar, e dimenticando che nell’estate del Papeete era stato lui a cacciarsi di fatto, presentando una mozione di sfiducia contro il governo giallo-verde di cui faceva parte e dunque contro sé medesimo. E adesso che deve condurre una competizione interna alla coalizione (persa in partenza) con Giorgia Meloni, ecco che lancia proclami forti per riprendere quella visibilità che gli riusciva catturare nell'estate del Papeete. Con esiti che ora come allora sono imbarazzanti. Appunto.

In missione a Lampedusa, dove ha arringato un’oretta i cronisti in materia di sbarchi salvo poi godersi il mare dell’isola, Salvini ha rispolverato uno dei suoi temi favoriti: il ritorno del servizio militare per i giovani. E l’indomani ha rincarato la dose proponendo che ai componenti delle baby gang venga ritardato l’accesso alla patente di guida. Roba forte, tanto da lasciar pensare che nella cabina di regia della comunicazione salviniana il posto lasciato vacante da Luca Morisi sia stato assegnato a Carcarlo Pravettoni.

Paranoia generazionale

E sarebbe inutile ribattere nei contenuti delle singole proposte. Cioè, ricordare quale spreco di tempo della vita personale, oltreché di risorse pubbliche, sia stata la leva militare (detto da chi il servizio militare l’ha fatto sul serio e in versione abbondante: diciotto mesi di Marina, di cui quindici presso il pontile Nato di Augusta), improponibile per i ragazzi come per le finanze pubbliche di oggi.

O chiedere al leader leghista quale diamine di deterrenza possa avere la minaccia di ritardare l’acquisizione della patente per soggetti che un’auto la guidano già a 16 anni, possibilmente rubata. Si tratterebbe tempo perso, perché comunque sarebbe scendere sul terreno argomentativo di Salvini. Per ritornarne imbarazzati di se stessi.

C’è piuttosto un altro aspetto da rimarcare e riguarda questa sorta di paranoia generazionale che pare aver catturato il capo della Lega. Che adesso è ossessionato dai giovani. Come se all’improvviso volesse diventare il leader del radicalismo boomer, e guidare lo smarrimento culturale e sociale della generazione di cui lo stesso Salvini si fa espressione.

Soprattutto della parte più livorosa e inconcludente, quella che passa le giornate al Bar Pontida sgranocchiando noccioline aggràtis e fa eco alle notizie irradiate dalla tv lì in alto con frasi come “per quei pischelli là ci vorrebbe il servizio militare” o “io a questi qui non gli darei la patente e poi vediamo”. Lui assorbe e rilancia come volesse essere una guida politica e morale della sua generazione (o della versione caricaturale che ne ha in mente), pronto a spararla sempre più grossa senza curarsi dei possibili effetti collaterali. Chiamiamolo Unaboomer.

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