Se c’è una cosa che ti insegnano i mercati finanziari è che il futuro è più importante del passato e che le tendenze sono più importanti dello status quo. Ti insegnano che l’aria che stai respirando, presente e al tempo stesso inafferrabile, è comunque più importante della realtà appena trascorsa che conosci bene.
Ti insegnano inoltre che il clima psicologico è più importante delle idee pur giuste di razionalità e di efficienza, e che se c’è un errore da non fare è quello di sottovalutare la vastità di un problema dimenticando di considerare le interdipendenze fra gli elementi che compongono un sistema.

Ti insegnano insomma a valutare bene le prospettive e l’orizzonte, o meglio: ti insegnano che valutare bene le prospettive e l’orizzonte è molto complicato, e che fare due conti e due analisi o anche due riflessioni pulite non è soddisfacente, per quanto possa apparire come l’atteggiamento più lucido. Se di fondo ti resta la sensazione che qualcosa stia sfuggendo alla comprensione, vuol dire che qualcosa sfuggirà.

Ho pensato a questo mentre leggevo alcune delle analisi che sono uscite sui femminicidi. Le analisi che spiegano come il fenomeno non sia solo italiano, ma sia più che presente in paesi percepiti come più civili del nostro dal punto di vista del trattamento delle donne. Le analisi che mostrano come il problema non sia in particolare espansione nella storia recente, ma abbia una sua relativa costanza.
Le analisi, insomma, che usano i numeri e che prendono sì sul serio il problema, ma al tempo stesso intendono ridimensionare la sensazione di un’emergenza italiana e corrente sui femminicidi. E poi, al di là delle analisi, ci sono quelle riflessioni qualitative che individuano nel femminicidio un evento di certo terribile, però comunque estremo, non frequente, in cui gioca un ruolo significativo la sfortuna (la sfortuna di trovarsi a che fare con un assassino, là dove pensavamo di interagire con una persona magari disturbata, ma priva di furia omicida).

Il cortocircuito

In realtà queste analisi non sono a mio parere convincenti, tanto per cominciare perché considerano il femminicidio come un evento da valutare in sé. L’Onu, per esempio, non fa così: l’Onu considera il femminicidio come la manifestazione estrema della violenza di genere, e dunque ritiene che il femminicidio sia solo la punta di un iceberg.
Chi invece analizza il femminicidio “in sé” non lo vede come la punta di un iceberg, ma sottolinea come sia importante non mettere nello stesso paniere analitico la violenza omicida e altri tipi di violenza. Quest’ultima visione è quella che porta a rifiutare l’idea che il femminicidio abbia, per esempio, una radice culturale nel modo in cui sono considerate le donne. Ma qui si crea un cortocircuito.

Se il femminicidio non ha radici culturali, ma è un evento estremo e sfortunato, non è del tutto chiara la necessità di chiamarlo femminicidio. Eppure se lo chiamiamo così lo facciamo per una serie di motivi. Per femminicidio intendiamo l’omicidio di una donna da parte di un partner (attuale o passato) o da parte di un familiare, un omicidio insomma che ha a che fare con la sfera privata, con i luoghi nei quali si dovrebbe essere al sicuro.
Un omicidio che tipicamente è preceduto o accompagnato da almeno una di queste vessazioni: stalking, privazione o tentativo di privazione della libertà, uso della forza fisica per uccidere, violenza fisica o sessuale che precorre l’omicidio… Un delitto che insomma si lega in modo stretto all’idea della possibilità di controllo di una donna, e al concetto di «ora ti farò vedere che tu, donna, senza di me non esisti».

Il clima del paese

Il femminicidio di Giulia Cecchettin ha risvegliato più forte che mai un desiderio di azione, e le ragioni di questo risveglio particolare sono molte, non le elenco perché ci avrete più che riflettuto. Conta anche il momento politico e culturale: il paese attraversa un certo clima psicologico, perché il governo presente ha fra i suoi obiettivi principali una visione della donna e della famiglia che contempla anche elementi di reazione e tradizionalismo.

È poco sensato cercare di ridimensionare il malessere che molte donne (e molti uomini) provano in questi giorni a seguito della terribile vicenda di Giulia Cecchettin.
Se un femminicidio avviene in un paese con un certo clima psicologico la cosa ha un peso e un interesse, non solo perché si avranno certe reazioni immediate, ma anche perché queste reazioni genereranno immediatamente delle controreazioni, e l’interazione complicata fra questi elementi genererà nuovi frammenti di cultura. Nuova materia nel mercato delle idee.

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