Le elezioni politiche del 2022 non sono consultazioni ordinarie perché la divisione taglia nettamente gli schieramenti sulla dimensione internazionale. Come in passato avvenne solo nel 1948, con l’asse socialcomunista che guardava a Mosca e quello democristiano che echeggiava la voce di Washington. Un duello campale che segnò la storia patria e i cui toni apocalittici non si ripeterono successivamente man mano che la Guerra fredda esauriva la spinta ideologica e le classi dirigenti iniziavano a parlarsi più intensamente.

Toni da catastrofico scontro di civiltà visti nemmeno nel 1946 stante il clima da concordia del Comitato di liberazione nazionale (Cln). Oggi la distanza ideologica è importante tra Pd e Lega/Fratelli d’Italia sebbene la temperatura innescata dalla ideologia, ossia il livello dello scontro sociale sia decisamente inferiore, quasi irrilevante, rispetto agli anni Cinquanta-Settanta.

Nel 1948 la differenza partitica si traduceva in avversione tra le parti in forma totalizzante: la divisione propalava mondi incompatibili, diversi su tutte le dimensioni, da quella internazionale e della conseguente collocazione diplomatico-militare, a quella interna delle politiche pubbliche.

Europa e nazione

Correntemente, nel complesso, le politiche macroeconomiche si distinguono poco tra e nei poli, in ragione di vari concomitanti fattori, dalla contenuta salienza ideologica delle proposte, sino ai vincoli posti da decisioni ed accordi stipulati in ambito europeo.Viceversa, proprio sull’Unione europea si gioca la partita della differenza.

L’asse ideologico che conta è quello europeo tant’è che i più ferventi federalisti considerano il teatro continentale uno scenario di politica interna, mentre i nazionalisti spingono per una Europa delle (piccole) patrie. La vittoria della destra è pericolosa in virtù della cinica aderenza del duo Lega/FdI all’agenda internazionale dei satrapi ungaro-polacchi.

La trazione estremista della destra ha tacitato la componente liberale forzista che per decenni ha lasciato navigare l’Italia in un ambiente e con una logica atlantista ed europe(ist)a, al netto di episodiche, quanto imbarazzanti, sbavature diplomatiche. Tensioni, grosserie e diplomazia muscolare che però non spostavano l’asse dell’Italia fondatrice del disegno federalista europeo. Oggi siamo all’inverso: pochi rischi sul piano interno, e molte, troppe, incertezze sul versante “estero” ed esterno.  

Le destre

Per quanto perniciose, le proposte da campagna elettorale, dalla flat tax ai decreti sicurezza, alla torsione conservatrice sui diritti civili, rimandano a un “normale” cahier di progetti e di politiche pubbliche tipiche della destra e legittime sul piano politico, per quanto non condivisibili sul piano valoriale. Proposte che tra l’altro non sono né recenti né originali, ma declamate e decantate per almeno due decenni con toni diversi a seconda che le perorasse Berlusconi o Bossi.  

Il rischio insito in questa situazione è la banalizzazione, la normalizzazione della Storia. L’antifascismo come militanza anziché valore democratico condiviso, i diritti individuali e lo spazio europeo quali visioni di partire piuttosto che assi fondanti dell'identità e degli indirizzi nazionali.  

Il sistema dei partiti è esploso

Foto AGF

A questa dinamica sui fondamentali dei valori europei(sti) si aggiunge l’implosione del sistema partitico. La persistente iperframmentazione di sigle individuali, la perdita del senso comune e collettivo dei e nei partiti, sono state aggravate da livelli parossistici di volatilità elettorale e di sostegno effimero ai leader e ai governi. Debole sostegno democratico anche alle istituzioni che perdono linfa della spinta popolare, cuore pulsante delle democrazie sostanziali.  

Coalizioni ondivaghe ed effimere nell’identità e nella strutturazione tra destra e sinistra, compongono un mosaico debole le cui tessere sono prive del necessario collante ideale. Tutto a scapito della responsabilità, intesa come individuazione di quanto fatto o non fatto, e perciò dell’aumento di distacco dal “politico”, dal voto alla partecipazione più intensa.

La grande coalizione permanente certamente non ha giovato e la scelta di politiche ”identitarie” in altri paesi – dalla Spagna agli Stati Uniti – rendono giustizia circa la salienza del discrimine destra-sinistra, bussola ed euristica elettorale, ma soprattutto base distintiva per combattere le disuguaglianze.

Un sistema in cui persista il timore dell’alternanza è ostaggio del piccolo cabotaggio, del trasformismo sistemico e della beatificazione dei tecnici. L’apatia sociale e politica, la disperazione come agire individuale e il disincanto nutrono perciò il cerbero populista in una perversa dinamica di constante attacco a tutte le dimensioni dell'agire pubblico e collettivo. Ossia alla base della coesistenza sociale.  

Le elezioni del 2022 segneranno uno spartiacque vero, non di quelli evocati regolarmente, ma che durano lo spazio dell’edizione cartacea dei quotidiani. L’Italia ha bisogno di partiti riformisti e conservatori forti e nazionali, di politiche europee e di visione internazionale. 

Infine, ma non per ultimo, il combinato disposto tra un sistema elettorale debole, ossia non vincolante e non “decidente”, e un assetto istituzionale altrettanto fragile – bicameralismo paritario e ridondante – espongono l’intero sistema Italia a un rischio democratico. Che il voto può acuire.

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