Pietro Castellitto scrive bene, e non solo per il cinema. Gli Iperborei, il romanzo uscito con Bompiani nel 2021, quando aveva appena trent’anni, è parecchio intrigante. Quando imparerà ad amare con meno trasporto la propria (bella, convengo) immagine diventerà un grande autore.

Prima di essere raggiunta dalle folgori preciso che i talenti veri vanno coltivati e affinati, perché scarseggiano, e non solo nella generazione Z a cui Castellitto appartiene. Un pedigree da sballo come il suo attira i titoli, ma non porta a casa il bottino di premi rastrellato tra il 2020 e il 2021 da I predatori: miglior sceneggiatura alla veneziana “Orizzonti”, David di Donatello e Nastro d’argento per il regista esordiente.

Con Enea, il suo secondo film, quest’anno Pietro Castellitto è il più giovane cineasta in gara nella major league veneziana. È più di una conferma Enea, è un salto di qualità.

Contro il buonismo

Cosa rende speciale questo figlio d’arte? Ha misteriose difese immunitarie che lo proteggono dal buonismo, questo virus letale che alligna nelle nostre contrade dello show business. Ha un umorismo acido che corrode i panorami urbani e li trasfigura. Una lente che applica senza sconti anche all’ambiente marcatamente elitario e intellettuale in cui é cresciuto.

Ma ha anche un appeal capitale per quel segmento crescente di pubblico che diserta per principio la produzione di casa nostra: codifica in forma artistica quel linguaggio narrativo spezzato che TikTok ha reso virale tra gli under 30. Detto più terra terra, fa ridere, e anche parecchio, scavando nei lati oscuri della Roma bene e nei quartieri alti del crimine, che non appartengono all’accademia iconografica malavitosa di Suburra e dintorni.

Enea (dal nome del protagonista, che è poi lo stesso Castellitto, seduttivo fuori dai canoni classici quanto la giovane Barbra Streisand in versione maschile) è una produzione da 8 milioni, non è un low budget. Non lo è nessuno dei film italiani in concorso, e già su questo ci sarebbe da ragionare, perché la nostra legge sul cinema non è fatta per favorire i nuovi talenti senza curriculum e le coraggiose produzioni indipendenti. L’ironia surreale di tanti flash di Enea però a basso costo non sarebbe possibile.

L’Enea del film ha una famiglia invidiabile. Papà Sergio Castellitto fa lo psicanalista, suo fratello Cesare Castellitto ha le sue belle grane al liceo, sua madre (che non è Margaret Mazzantini ma un’ottima Chiara Noschese) conduce uno show letterario in tv, tipo Corrado Augias ma in peggio.

Lui vive comodamente a casa dei suoi, frequenta un circolo esclusivo di tennis con rampolli non meno privilegiati e ha aperto un ristorante di sushi dove lo chef si masturba con i salmoni freschi. In margine, si dedica con l’amico del cuore, fresco pilota e patito di karaoke (Giorgio Quarzo Guarascio), a un lucroso spaccio di coca.

Non è per soldi. Navighi a vista in una palude che ti può risucchiare, se non tieni a galla la testa. C’è un mito, nel nome che porti, che mal si concilia con la banalizzazione convenzionale dei drammi di cui vivi un’eco distratta e ovattata. La vita devi cercarla da te.

Scarface per rivolta

Le emergenze domestiche oscillano tra una palma che crolla su mammà in piena meditazione new age e il forfait della cameriera, che verrà rimpiazzata da un badante filippino presunto assassino di contesse.

Il ragazzo Castellitto (mi rifiuto di usare la dizione Castellitto Jr. che evoca impropriamente meriti di casta) ha immaginazione da vendere, e i dialoghi stralunati che sodomizzano i luoghi comuni hanno molta parte nel divertimento.

Si può anche vedere il film come una conversazione continuamente interrotta, Ennio Flaiano rivisitato coi tempi e il linguaggio del terzo millennio. E si può anche vedere Enea come uno Scarface (per rivolta) di buoni studi, caustico e carismatico, che per accasarsi non può che scegliere un’affine di status, carina e chic come Benedetta Porcaroli. 

Il regista lo dice in modo più ellittico: “Enea è un gangster movie senza la parte gangster, una storia di genere senza il genere”. Il risvolto dark del quadretto è sfaccettato. Il babbo psicanalista, per dire, affitta una suite per sfogare a mazzate la rabbia che nei pazienti dovrebbe curare. La mamma detesta un programma della tv generalista corrente in cui tutti i colleghi sono ipocriti e le donne «sono tutte puttane».

E i malavitosi soci in affari di Enea si sdilinquiscono in amor filiale e buoni sentimenti l’istante prima di essere falciati a pistolettate per strada. Il finale è un colpo d’ala, tra i migliori degli ultimi anni.

Una Roma diversa

Pietro Castellitto è il perno del film. Limite o valore aggiunto? Dipende dai punti di vista. Gli piace giocare con la propria faccia. Gli piacciono le sue dissertazioni su un mondo che ha archiviato l’idea di famiglia (il presente é l’alternativa tra interessi comuni di clan e individuo) e sulla differenza tra potere «che rende stupidi e gretti» e potenza «che richiede integrità».

Sono annotazioni acute, che intercettano sentimenti generazionali poco censiti. Ha un controllo di scrittura e di regia che prima o poi, forse, metterà in discussione, perché è tipo da terremotare anche le proprie conquiste.

Ma per quanto ne so ha anche abbastanza buon senso e umiltà per chiedere consigli a chi ne sa più di lui, e soprattutto ha l’umiltà di metterli in pratica. Molti virgulti del cinema assai meno dotati si considerano intoccabili come piccoli Kubrick.

C’è una battuta geniale di Dino Risi su Nanni Moretti che ha fatto storia. «Quando lo vedo nell’inquadratura mi viene da dirgli: spostati un po’ e fammi vedere il film». Risi sbagliava: Moretti é il centro di gravità permanente del proprio cinema. E probabilmente sbaglio io nel vedere una minuscola zavorra di narcisismo nell’aria nuova che Castellitto ti fa respirare.

Complice un brano di Renato Zero Spiagge – che alla fine del film avrete per forza imparato a memoria – la Roma di Enea, che «vista dall’alto sembra un lager», è comunque diversa da tutte le altre. Perché a Venezia 80 di Città Eterna ce n’è fin troppa. Dilaga, in concorso, anche con Adagio di Stefano Sollima e con Finalmente l’alba di Saverio Costanzo.

Nelle due sezioni di Orizzonti si impone con Felicità, prima regia di Micaela Ramazzotti, e con Una sterminata domenica di Alain Parroni, che vanta Wim Wenders tra i produttori. Troppa Roma può provocare rigetto. Anche perché non tutte le strade portano al buon cinema.

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