Palermo ormai non sa più neanche che cosa è Palermo fra tutti quei pennacchi e quei manganelli, fra maschere di cera e un po’ di sangue. Ce lo ricorderemo a lungo questo anniversario, in lontananza le foto di Falcone e Borsellino sorridenti e giù in strada i poliziotti che caricano studenti e sindacalisti che sfilano per ricordare i due giudici. Evidentemente loro non sono più di tutti, diventati solo proprietà di qualcuno, quelli che se ne stanno buoni e zitti quando sul palco salgono gli amici dei condannati per mafia. L’antimafia è morta, l’antimafia è viva. Palermo, 23 maggio 2023.

Ce la ricorderemo veramente a lungo questa giornata di vergogna e di resa dei conti, lugubre, sinistra, che cancella ogni ambiguità su ciò che è l’antimafia ufficiale oggi in Sicilia e anche a Roma dopo il golpe di San Macuto, l’elezione di una presidente che non sarà mai la presidente di tutti.

Per chi come me scrive da una decina di anni che una parte di quella antimafia è una farsa (e, a volte, anche un affare) e soprattutto per chi come me ha sempre avuto un’adorazione per i poliziotti di Palermo (avendoli conosciuti uno per uno fra le stanze di quel monumento che è la squadra mobile), le scene viste e riviste nei filmati pochi minuti prima delle 17:58, l’ora esatta della strage di Capaci, mi hanno confermato che fra via Libertà e via Notarbartolo è stato toccato il punto più basso, più ignobile dall’estate del 1992.

Una bella medaglia

Non era mai accaduto prima, né a Palermo né altrove in Sicilia, che una piazza dei pacifici manifestanti in un momento di memoria dedicata alle vittime delle mafie – una ventina di sigle e con loro i rappresentanti della Cgil – fosse oggetto di attenzione di agenti in assetto antisommossa. Per ritrovare qualcosa di simile bisogna catapultarsi negli anni Cinquanta, quando i contadini occupavano i feudi dei baroni e dei marchesi e si ritrovavano a sbarrare loro il passo i reparti di pubblica sicurezza del famigerato ministro Mario Scelba insieme ai campieri mafiosi. Una bella medaglia e un bel titolo per il ministero dell’Interno: carica della polizia contro un corteo antimafia. Palermo, 23 maggio 2023.

Ma il questore e il prefetto sanno davvero quello che hanno fatto, sono consapevoli delle loro decisioni e degli effetti che quelle decisioni hanno provocato licenziando una velina con su scritta l’intimazione agli studenti «a non arrecare alcun disturbo o qualsiasi altra turbativa alla cerimonia che avrà luogo all’albero Falcone»? Disturbo, turbativa, cerimonia... Ma, questore e prefetto, hanno solo una vaga idea delle ferite e delle cicatrici che segnano Palermo ancora dopo trentuno anni? Con un maldestro colpo di penna hanno fatto ripiombare la Sicilia nel suo passato più oscuro.

Il “controcorteo” inesistente

«Non manganellate, non manganellate». Questa è la voce che ha sentito un mio amico che era lì, P. F., ieri l’altro, da una radiotrasmittente della polizia mentre il corteo – e non “controcorteo”, come è stato definito in maniera subdola – voleva raggiungere l’albero Falcone per riunirsi a quell’altro più gradito e mansueto nei confronti di chi dice che la «mafia fa schifo» ma prende volentieri il sostegno di quelli che la mafia l’hanno favorita.

Troppo tardi, le manganellate erano già partite. Non sappiamo esattamente se l’ordine di vietare, e «per motivi di sicurezza», l’afflusso degli studenti e dei sindacalisti fin lì sia arrivato dalla prefettura o dalla questura, ma poco importa. È solo un dettaglio burocratico, perché l’ordine è stato impartito in realtà dall’aria che tira in Sicilia e non solo.

Dalla manifestazione negata a Palermo all’elezione di Chiara Colosimo alla commissione parlamentare Antimafia, due vicende che s’intrecciano in un’Italia dove stato e politica sulla questione mafia mostrano il loro volto e avvertono sul futuro che ci aspetta.

L’antimafia ammaestrata

Per certi versi è stata una giornata storica che marchia per sempre un’antimafia ubbidiente e ammaestrata e che, in qualche modo, segna la nascita di un’antimafia che si vuole liberare dai lacci del potere, lontana dalle convenienze, disinteressata a fare cassa con costosissimi “progetti educativi” e “percorsi di legalità” utili solo a mantenere in piedi associazioni e club che per troppo tempo hanno fatto la questua fra comuni e ministeri per spremere contributi.

Una giornata che, nel bene e nel male, è diventata confine. Da una parte un’antimafia che si è istituzionalizzata e che ha perso il contatto con chi avrebbe voluto e dovuto rappresentare, intruppata in un variegato circo popolato da tribuni e guru di varia specie. Dall’altra un piccolo popolo che non ci sta, che nonostante tutto ancora ci crede.

I procuratori giù dal palco

Il ricordo ufficiale di Giovanni Falcone nel trentunesimo anniversario è stato affidato all’immagine della sorella Maria sul palco accanto a Roberto Lagalla, proprio lui, il candidato sindaco preferito da Totò Cuffaro e da Marcello Dell’Utri. Sotto, confusi fra la folla, il procuratore capo della Repubblica Maurizio De Lucia e il procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo. Non si sono voluti mischiare agli altri.

Di mattina, la posa simbolica della prima pietra per il museo prossimo venturo intitolato a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino a palazzo Jung, quasi di fronte all’orto botanico che è a pochi passi dalla Kalsa, il quartiere dove sono nati e cresciuti i due giudici. Presente sempre la sorella Maria, di fianco il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi e il governatore sotto processo per associazione a delinquere Renato Schifani. Palermo, 23 maggio 2023. 

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