Questa è una piccola storia di razzismo, quello quotidiano, fatto di indifferenza e che spesso ignoriamo, ma che non per questo è meno importante e fa meno male.

È l’ultimo giorno di scuola, molti bambini si trovano al parco, accompagnati dai genitori. È stato un anno particolare, questo della pandemia, con poche occasioni per vedersi fuori dalla scuola. È la prima volta che quasi tutta la classe si ritrova. Guardando i bambini giocare trovo conferma che mia figlia, che è entrata nella classe solo quest’anno, ha stretto amicizia prevalentemente con due bambine, entrambe figlie di immigrati. Sono le stesse con cui è spesso al telefono.

Sarà un caso, me lo auguro, ma forse è un segnale che quelle due bambine non sono pienamente integrate nella classe e hanno trovato un’amicizia naturale in un’altra bambina “nuova”. Mi piace anche pensare che mia figlia, cresciuta in un ambiente internazionale e multiculturale, non si accorga del colore della pelle.

Al parco queste dinamiche erano chiarissime, ma è pur vero che si tratta di dinamiche comuni tra bambini, quindi forse mi sto sbagliando. Poi un genitore si chiede se Emma (nome di fantasia) ha davvero 10 anni. Infatti, sottolinea, è molto più alta della amiche e, soprattutto, penso io, ha genitori della Costa d’Avorio. Insomma, nel 2021 siamo ancora alla battute sulla misteriosa età di tanti giocatori africani che giocarono in Serie A.

Peccato che Emma sia nata in Italia, parli italiano con accento bolognese meglio di altre bambine e sia in classe con tutti dalla prima elementare. Ma la pelle nera batte tutto. Ovviamente, non c’è stato un genitore che abbia obiettato, ma ci sono stati molti sorrisi compiaciuti.

Ma forse anche questo è un caso. Alla fine non conosco queste persone e può darsi che la battuta sia in buona fede e nasca da un qualche episodio passato che ignoro.

Compagnia sgradita

Ma non è tutto. Dopo un po’ un genitore fa notare che il padre di Emma è seduto da solo su una panchina. Nessuna reazione dal gruppo, circa una quindicina di adulti. Io lo avevo salutato prima, scambiando due parole come spesso accade la mattina andando a scuola, poi lui è andato a prendere il figlio. Dato che era alle mie spalle, non mi ero accorto che fosse tornato.

Attendo qualche minuto per vedere se qualcuno prende l’iniziativa. Nulla. Indifferenza totale. Allora mi alzo e lo invito a unirsi a noi.

Viene al tavolo, parliamo, mi chiede della mia famiglia e dei miei progetti futuri e mi racconta di una disavventura passata e del suo desiderio di tornare a visitare gli amici in Costa d’Avorio. Ma non passano neppure tre minuti che tutti improvvisamente si alzano e si preparano a rincasare. Forse dovevano davvero andare (sebbene non fosse tardissimo), è impossibile escluderlo. Ma un minimo di educazione avrebbe imposto di scambiare due parole. Invece mi sono trovato da solo a parlare con il padre di Emma, che si è confermato una persona simpatica e socievole.

Ah, un piccolo particolare, il padre di Emma fa l’ambulante.

L’amaro in bocca

Alla fine al parco restano solo mia figlia e le due amiche, tutti gli “italiani” se ne sono andati. Loro si divertono un mondo. Mi accorgo che anche la madre della terza bambina era al parco, distante. Non la avevo riconosciuta. Immagino fosse già scottata da esperienze simili, come molti altri immigrati. Parliamo per una mezz’ora, anche loro hanno vissuto negli Stati Uniti, poi è ora di andare a cena. Mia figlia si è divertita ed era già dispiaciuta di non rivedere più le amiche delle elementari tra qualche settimana. Io invece sono rientrato a casa incredulo, arrabbiato e deluso.

Io e la mia famiglia siamo rientrati in Italia dopo sette anni negli Stati Uniti, in parte anche turbati dal pessimo clima sociale dopo quattro anni di presidenza Trump. Non immaginavo di trovare un paese in cui il razzismo e la diffidenza verso il prossimo sono così diffusi. Seguito da oltreoceano, il clima politico degli ultimi anni destava preoccupazione, ma speravo che il paese vero fosse diverso, più tollerante e aperto. È sempre sbagliato generalizzare e non intendo farlo a partire da quel pomeriggio, ma si tratta solo dell’ultimo di una lunga lista di episodi vissuti quest’anno. Mai nulla di eclatante, ma una serie di comportamenti, allusioni e silenzi che lasciano costantemente l’amaro in bocca.

È oltre un giorno che mi chiedo se ho frainteso qualcosa. Spero di sì, ma temo di no. C’è molto da cambiare e ogni piccolo gesto aiuta, per evitare di avallare con il silenzio e l’indifferenza ogni “piccolo” gesto di razzismo.

 

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