La presenza televisiva di Gianfranco Fini, un po’ a sostenere Giorgia Meloni e un po’ a correggerla, evoca la figura ormai desueta del padre nobile. Di colui cioè che conserva un proprio diritto di parola che coincide quasi con l’altrui dovere dell’ascolto.

Troppo importante per essere ignorato, troppo poco influente per essere preso alla lettera. Abbastanza “dentro” da suscitare curiosità, abbastanza “fuori” da non esser considerato come una voce ufficiale.

Si potrebbe chiudere qui la questione, e magari aspettare nuovi pronunciamenti – di Fini o di altri. Ma la questione in realtà è più ampia e incrocia i destini della nuova politica più di quanto non sembri.

Infatti, l’accelerazione della storia rende impietosamente datate le parole di chi c’era prima, e spinge spesso i nuovi a recidere quasi ogni legame con i vecchi. Ma per quanto questa sia la moda, essa tuttavia ha il fiato corto. E a chi oggi occupa la scena politica e mediatica si vorrebbe consigliare semmai di prendersi un briciolo di cura verso i predecessori, più o meno venerati. Nel proprio stesso interesse, beninteso.

Consigli meno obbligati

Infatti non ci sono più gli antichi depositari di un’ideologia immobile, votata alla propria ripetizione. Nessuno può considerarsi come detentore di un sapere pressoché immutabile, da consegnare tale e quale alle generazioni successive. Ma paradossalmente, e forse proprio per questo, certi consigli sono più preziosi proprio perché sono diventati meno obbligati. Meno ovvi, soprattutto.

Personalmente, vengo da una tradizione abituata a considerare un merito la propria longevità. E dunque a durare più del dovuto. I democristiani di una volta si piccavano di non dare troppo spago alle ansie di rinnovamento, e semmai a predisporre per sé carriere più o meno sempiterne. Così, se qualcuno di loro veniva poi davvero relegato ai margini nessuno si curava più di tanto di ascoltare i suoi consigli.

Valga per tutti l’esempio di Alcide De Gasperi e dei suoi ultimissimi mesi, già in piena epoca fanfaniana. Laddove il prestigio e la retorica erano inversamente proporzionali alla reale influenza politica.

Non mollare mai

All’epoca, si trattava di una sorta di circolo vizioso. Dato che quella politica era affezionata, fin troppo, alla propria durata nel tempo, essa riservava ben poca attenzione a chi ne fosse uscito prima del tempo. Arrivando a farsi vanto della propria coriacea resistenza all’usura.

Giulio Andreotti che elogiava l’infinità del suo viale del tramonto resta l’esempio forse più paradigmatico di questa attitudine a non mollare mai la presa. E di contro Mino Martinazzoli che annunciava il ritiro dall’attività al compimento dei sessant’anni appariva a quel mondo come una stranezza non degna di approvazione.

E invece ora che il ciclo della vita politica si è accorciato e a bordo campo sono rimasti suggeritori non troppo feriti dal passare del tempo, sarebbe ancor più opportuno ascoltare i loro consigli. E perfino usarli come correttori delle proprie impazienze e inesperienze.

Così, a Meloni si vorrebbe consigliare di ascoltare con qualche attenzione le parole del suo predecessore alla guida della destra. Non perché debba esserci un vincolo ereditario. Né forse un dovere di riconoscenza. Ma perché il confronto tra le generazioni è quella tal cosa che aiuta un paese, o più modestamente una parte di esso, a dare un senso al suo cammino lungo la storia.

Il ruolo degli anziani

Ora, nel caso di Fini e Meloni la mia personalissima opinione resta che l’anziano si sia spinto più avanti della giovane. E che gli strappi che ha fatto lui dovrebbero spingere lei a cercare di fare magari un passo in più e non uno in meno – come è stato fin qui. Ma la questione (come si sarebbe detto con il linguaggio dei nostri progenitori) è più ampia. E riguarda il fatto che spesso è proprio la saggezza stanca dei padri che può aiutare i figli a districarsi lungo percorsi impervi. Aiutandoli a comprendere che la novità non è mai la frenetica rincorsa di una moda passeggera, ma semmai un modo per confrontarsi con una storia più lunga e più densa.

Senza scomodare né Platone, né Cicerone, che giunti a una certa età si diedero a magnificare il contributo di saggezza che gli anziani potevano riservare ai loro discendenti, resta il fatto che chi ha attraversato i campi di battaglia della politica ha avuto modo di fare tesoro delle sue vittorie e perfino delle sue sconfitte.

E se riserva qualche consiglio a chi viene dopo non è quasi mai per smania di rivincita ma perché a quel punto ci si rende conto che il valore della politica non sta più nella sua immediatezza. Anzi, è più facile semmai che proprio lì vi sia una trappola. Una di quelle insidie nascoste che lo sguardo dell’anziano presbite riesce a vedere meglio che non il suo miope e frenetico successore.

Insomma, buoni o cattivi che siano i vecchi maestri possono sempre servire ancora. A patto che il loro ruolo sia quello di consigliare, avvisare, mettere in guardia, correggere. E non invece quello di consumare da postumi le loro vendette. Rischio non così diffuso come si crede. Dato che negli anziani c’è spesso un’onestà intellettuale che discende dall’attenuarsi del loro vigore; e una libertà di ragionamento che deve qualcosa al progressivo venir meno delle ansie e delle velleità degli anni di prima.

Dopodiché, è solo ovvio che in questo campo l’ultima parola sarà sempre quella dell’attore e non quella del suggeritore. Cosa della quale forse è inutile rammaricarsi. E ragione in più, però, per dare ascolto a qualche buon suggerimento.

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