La pubblicazione nei mesi scorsi da parte del ministero dell’Istruzione (poi diventato ministero dell’Istruzione e del Merito) delle Linee guida per la didattica della Frontiera adriatica rappresenta, nell’ottica di un approccio critico verso le stesse, anche un’opportunità per ragionare su quali prospettive questa didattica possa offrire. Cercherò di farlo dal punto di vista di chi si occupa di queste tematiche nell’area in questione, nella convinzione che alcuni spunti, buone pratiche e criticità possano essere utili anche per chi, dal resto del paese, le approcci per la prima volta.

Le linee guida stesse, in un certo senso, offrono uno spunto di riflessione: lo fanno nel momento in cui nella loro struttura e nelle attività che presentano sembrano suggerire un approccio che è più largo della mera ricostruzione di fatti storici (che, intendiamoci e a scanso di equivoci, è ovviamente il presupposto di qualsiasi altra attività – solo un rigore di approccio storiografico può consentire di affrontare le drammatiche pagine del Novecento europeo producendo risultati positivi e non nulli se non addirittura negativi).

Un neo che ho percepito in tal senso è rappresentato dall’assenza quasi completa, per quanto essa fosse auspicata nelle stesse parole introduttive dell’allora ministro Bianchi, del confronto con l’altro, proverò a dare alcuni spunti proprio in questa direzione.

La letteratura

Primo spunto: la letteratura. Vicende complesse come quelle del Novecento adriatico hanno avuto ricadute enorme sulla cultura dell’area e sulla letteratura nello specifico. Da questo punto di vista ci sono numerosi filoni da valorizzare, la formidabile letteratura dell’esodo (che è del resto molto ben presentata nelle linee guida stesse), a cui si può però affiancare altri elementi di arricchimento: in primo luogo la letteratura  dell’altro, intesa nel senso delle opere di autori sloveni e croati dell’area.

Per limitarmi all’area di mio più specifico interesse, quella di Trieste, c’è da considerare il grande filone della letteratura in lingua slovena triestina,  dove si possono citare perlomeno tre generazioni di scrittori, per la prima Vladimir Bartol, per la seconda Boris Pahor e Alojz Rebula, per la terza perlomeno Marko Sosič, nei quali il rapporto con le vicende del Novecento, vissute in prima persona o tramite il loro impatto duraturo nel tempo, è centrale; si tratta di opere di autori tradotti in italiano, facilmente rintracciabili e disponibili.

In secondo luogo la letteratura dall’altra parte, di chi è rimasto di là, della comunità italiana in Slovenia e Croazia. Vuol dire avere accesso a letterature al contempo diverse e affini, che si interfacciano, si affiancano, spesso si compenetrano

I luoghi e le date

Secondo spunto: i luoghi. La frontiera orientale è piena di luoghi delle memorie. Luoghi dove spesso le sofferenze sono andate a sovrapporsi, a sostituirsi, a integrarsi (oppure, a volte, a ignorarsi). Sui luoghi è possibile fare ragionamenti molto stimolanti e anche inaspettati con un gruppo studentesco (basti un esempio, quanto cambia attraverso la toponomastica la memoria pubblica di un’area urbana come quella di Gorizia e Nova Gorica), su cosa voglia dire avere un rapporto con questi luoghi oggi, sul legame che questi luoghi hanno con le Istituzioni.

Nel caso di Trieste, si pensi al grande fatto istituzionale del luglio 2010 – incontro e dichiarazione congiunta dei tre presidenti di Italia, Slovenia e Croazia, concerto dell’amicizia – e al luglio del 2020, i presidenti di Italia e Slovenia che in occasione del centenario dell’incendio del Narodni dom si recano in visita alle due Basovizze e in questo caso non sono le parole, ma i gesti – due mani strette non nella stretta di mano formale di due presidenti ma in una stretta che indica un rapporto di amicizia vero – a esprimersi.

Terzo spunto: il calendario civile. Ragionare di questi temi vuol dire in genere partire dal 10 febbraio. Ma può anche voler dire chiedersi come questa ricorrenza, e altre ricorrenze, siano percepite oggi nell’area di confine. E come queste vicende siano presentate, e se siano presenti in che modo, nel calendario civile dei paesi vicini.

Anche qui, come per il punto precedente, vuol dire ragionare sul rapporto fra stato e storia; su che cosa voglia dire istituire una ricorrenza, su come ci si arriva. In un contesto di educazione civica può anche voler dire capire chi oggi se ne occupa: lo Stato? Gli enti locali? I media?

Fare i conti con il presente

Ultimo spunto: il presente. Volendo, un viaggio verso la frontiera adriatica può voler anche dire confrontarsi non solo con il passato, ma con il presente di queste terre. Partire per esempio dall’esperienza dei borghi degli esuli sparsi in giro per l’Italia per arrivare poi nella zona di Trieste, dove questi borghi sono collocati nelle immediate vicinanze dei borghi a maggioranza slovena del Carso triestino, e chiedersi che cosa voglia dire vivere insieme oggi. Chiedersi che significato abbiano, per queste terre, i nomi che nelle diverse lingue le contrassegnano: sono nomi vivi? Qualcuno oggi li usa, e se si chi e quali, quando vuole descrivere il concetto di “casa”?

Oppure che cosa significhi, per un territorio come questo, che tanto è stato segnato dai confini che nel corso del Novecento lo hanno attraversato, separato, ridefinito, il fatto che con l’ingresso della Croazia nell’area Schengen, poche settimane fa, si possa tornare a ragionare di area altoadriatica nella sua interezza, liberamente transitabile da parte dei suoi abitanti? Oppure ancora armarsi della curiosità di capire che cosa voglia dire che in Italia esistono scuole pubbliche dove si insegna in italiano e in sloveno e lo stesso avviene nei paesi vicini. Insomma confrontarsi non solo con il passato tragico di queste terre, in tutta la sua complessità, ma provare a vedere anche i tanti passi importanti che nel corso dei decenni sono stati fatti nel nome della riconciliazione e del rispetto dell’altro e chiedersi forse anche cosa resti ancora da fare.

Allargare lo sguardo

Gli spunti sopra elencati non sono certo né esaustivi né esauriti, nel senso che molti altri se  ne potrebbero trovare; e che per ognuno di essi altri elementi potrebbero esser aggiunti. Anche a partire dalle linee guida stesse che, e questo personalmente lo colgo come un elemento indubbiamente positivo, stimolano ad affrontare l’argomento della frontiera adriatica da una prospettiva larga, multidisciplinare e che consenta di comprendere un po’ di più su una parte d’Europa che avrebbe tanto da raccontare e da offrire. Sapendo che la maggior parte delle attività, com’è inevitabile che sia, avranno il loro inizio a partire dall’articolo 1 della legge istitutiva del Giorno del Ricordo, e quindi dalla «memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale».

Ma allargare lo sguardo potrà servire anche a una più profonda comprensione di queste vicende. Queste righe vengono scritte, naturalmente, prima del 10 febbraio 2023; e come ogni anno l’auspicio non può che essere che della frontiera adriatica non ci si ricordi solo nelle due settimane a cavallo di questa data, e magari senza cedere alle superficialità o alle strumentalizzazioni a cui si assiste quando ci si approccia alla storia e alle memorie non con la pazienza e l’umiltà di (provare a) capirle ma per piegarle a ben altre esigenze; se affrontato all’insegna del rigore, del rispetto e dell’empatia questo è un piccolo fazzoletto d’Europa che può, ancora, comunicare tanto.

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