La ragion d’essere del Documento di economia e finanza (Def) è disegnare il quadro programmatico di finanza pubblica, ovvero esporre, a grandi linee, le misure di entrata e di spesa che il governo intende introdurre nei tre anni successivi. Quel quadro programmatico è la cornice all’interno della quale si dovranno collocare le misure specifiche della legge di bilancio da presentare in ottobre.

Nel documento approvato dal Consiglio dei Ministri (ma non ancora pubblicato) la ragion d’essere viene meno: è presente solo il quadro tendenziale, vale a dire una narrazione di come si muoverà da qui al 2027 la finanza pubblica se non venisse presentata in autunno la nuova legge di bilancio.

In sintesi vengono riconfermati gli obiettivi della Nadef sul disavanzo che nel 2024 si collocherebbe, come già previsto, sul 4,3 per cento del Pil per poi tornare al 3 per cento due anni dopo e scendere al 2,2 per cento nel 2027.

Riguardo al debito, l’obiettivo della Nadef per il 2026 era una diminuzione in rapporto al Pil di mezzo punto rispetto al dato del 2023; ora si prevede per lo stesso periodo un aumento di 2,5 punti. La differenza di tre punti tra i due scenari rappresenta presumibilmente l’impatto sul debito dei crediti di imposta edilizi (superbonus & c) il cui ammontare, come è noto, si è rivelato molto superiore alle previsioni. Insomma niente di nuovo rispetto a quanto già si sapeva, il che è ovvio vista la decisione di non presentare un quadro programmatico.

Senza precedenti

Il ministro dell’Economia in conferenza stampa ha sottolineato come tale decisione ha dei precedenti. Si trattava però di governi dimissionari che non avevano titolo a presentare programmi pluriennali, né la loro esposizione sarebbe stata di alcun interesse per operatori economici e opinione pubblica. Nel nostro caso il governo è nel pieno delle sue funzioni e la presentazione di un Def “più asciutto” (così è stato definito da Palazzo Chigi) è senza precedenti e comunque viola le leggi italiane sul processo di formazione del bilancio.

Peraltro non è convincente la giustificazione proposta dal Ministro, che fa notare come comunque il governo a settembre dovrà presentare il piano fiscale strutturale previsto dal nuovo Patto di stabilità, del quale non sono ancora noti tutti i dettagli applicativi. Non convincente perché resta il dovere, nei confronti del Parlamento e dell’opinione pubblica italiani, di esporre i propri programmi. Non farlo è indice di idee ancora poco chiare su un orizzonte di pochi mesi, il che è preoccupante se si riflette sul fatto che con il nuovo Patto di stabilità occorrerà lavorare su un orizzonte di almeno quattro anni.

In realtà il punto è proprio questo. L’incertezza, in realtà, riguarda la decisione, tutta del governo italiano, di mantenere o meno nei prossimi anni (e con quali coperture finanziarie) le misure introdotte nella scorsa legge di bilancio solo per il 2024. Le due più importanti sono il taglio dei contributi previdenziali e l’accorpamento dei primi due scaglioni Irpef, che insieme valgono 15 miliardi.

Ma ve ne sono molte altre: la detassazione del welfare aziendale e dei premi di produttività, la riduzione del canone RAI, il differimento di plastic e sugar tax, l’azzeramento dei contributi previdenziali per le lavoratrici dipendenti a tempo indeterminato con due figli, il credito di imposta per gli investimenti nella Zona economica speciale del Mezzogiorno. In totale quasi altri 4 miliardi. Se tutte confermate aggiungerebbero poco meno di un punto di Pil al disavanzo ogni anno.

Qui interviene il “Def orale” che, a sorpresa, contiene una bozza di quadro programmatico. Dalla conferenza stampa apprendiamo che è intenzione del governo confermare le due misure più importanti ma senza incidere sul disavanzo. Occorrerà quindi entro settembre trovare coperture oggi ancora non definite. Sempre a proposito di assumere un orizzonte di medio periodo.

Ultima notazione: la dinamica del debito mostra come l’impatto dei bonus edilizi renderà più ardua la programmazione finanziaria per i prossimi anni. Giorgetti ha il merito di aver imposto un anno fa un cambio di marcia ma il fatto che nel 2023 la spesa sia stata superiore a quella degli anni precedenti sta ad indicare, al di là degli errori di previsione su cui si sta concentrando l’attenzione, che il “blocco” di un anno fa era per lo meno mal disegnato.

© Riproduzione riservata