La riflessione del professor Enzo Ciconte pubblicata su Domani La destra non ha titolo per parlare di antimafia, menziona i protagonisti del contrasto alla criminalità mafiosa e le loro storie di militanza a sinistra da Mimmo Beneventano a Pio La Torre. 

Neanche il Pd, però, oggi ha titolo per parlare di antimafia. La storia e l’impegno del vecchio partito comunista non hanno niente da spartire con questo Pd, al netto di singole eccezioni e importanti presidi territoriali.  

Battisti e il bar dell’antimafia

Per capire la scarsa capacità di lettura dei fenomeni criminali mafiosi nel partito basta citare le parole di Sara Battisti, candidata Pd (rieletta) alle ultime regionali nel Lazio.

Battisti è diventata famosa per aver preso parte alla cena finita con una scena da Suburra con protagonista il compagno, Albino Ruberti, uomo del potere Pd laziale, che urlava all’interlocutore «inginocchiati o ti sparo».

Battisti ha parlato del candidato presidente delle destre e ora governatore, Francesco Rocca, come di uno «legato al clan di Ostia che gestisce il narcotraffico e ha legami profondi con quei tessuti mafiosi, quelli che noi abbiamo combattuto sul litorale romano».

Accuse che sono diventate scuse immediate da parte di Battisti, che aveva contrapposto un fantomatico impegno sul litorale del Pd. Ma quale? 

Di recente nel processo a carico del boss, Roberto De Santis accusato di estorsione aggravata, è spuntata una foto con l’ignaro Roberto Gualtieri, all’epoca candidato in campagna elettorale da sindaco di Roma.

A Ostia, nel 2015, il municipio è stato sciolto per condizionamento mafioso quando governava proprio il Pd. Oggi ci sono gli stessi consiglieri di allora così come sono tornati, usciti indenni dalle inchieste giudiziarie, i politici che tenevano i rapporti con Salvatore Buzzi, ras delle coop condannato per corruzione. 

Domani ha raccontato la storia di un’azienda impegnata nella raccolta dei rifiuti a Roma, aggiudicataria di diversi appalti, che appartiene alla famiglia di un soggetto a processo per voto di scambio politico mafioso e che ha patteggiato per corruzione e turbativa d’asta. La reazione della giunta a guida Pd è stata l’indifferenza. 

Il resto d’Italia

Anche in Toscana il Pd ha scoperto la mafia con qualche decennio di ritardo quando un’indagine ha travolto gli imprenditori del settore conciario che utilizzavano un’impresa vicina alla ‘ndrangheta per seppellire scarti tossici sotto strade ed edifici in costruzione

Lo scandalo dei rifiuti tossici è all’ordine del giorno dal secolo scorso come pure il tema della partecipazione di mafia, camorra e 'ndrangheta allo smaltimento criminale dei veleni.

Non si è dimesso nessuno, né il consigliere indagato, Andrea Pieroni, che brigava per l’approvazione di un emendamento caro ai conciatori e neanche l’allora presidente del Consiglio regionale, Eugenio Giani, mai indagato, che è stato accusato dal suo precedessore, sempre Pd, di aver agito in modo surrettizio. Oggi è presidente di una Toscana nella quale ha vinto il silenzio.   

Lo stesso silenzio che dominava in Campania quando i camorristi seppellivano rifiuti tossici in combutta con un pezzo della politica: tra clientele e costi gonfiati, l’impero del forzista Nicola Cosentino, poi condannato per reati di camorra, si incrociava con quello degli ex Pci nei consorzi pubblici. 

Nessuno ha fiatato, era il 2001, quando un’assessora perbene, come Rosa Masullo, dopo aver cacciato un boss da una casa popolare e aver subito intimidazioni, è stata messa da parte per far avanzare Nino Savastano, che ha restituito la casa alla famiglia del camorrista, e poi ha fatto carriera fino all’incidente giudiziario e all’indagine che lo ha coinvolto per corruzione. 

La Campania è la terra delle primarie Pd con le lunghe file dei cinesi, dieci anni fa, e dello scandalo corruttivo europeo di oggi con al centro il piddino Andrea Cozzolino, bassoliniano di ferro. 

In Calabria c’era una speranza, alle ultime regionali del 2022, con l’ipotesi della candidatura proprio del professor Enzo Cionte. Ma l’hanno scartato subito, era troppo per questo Pd.

Sui rapporti tra mafia e politica il Pd inizia a somigliare troppo alla destra che vorrebbe contrastare.

A fine dicembre quando Antonio D’Alì, ex senatore di Forza Italia e già sottosegretario all’Interno, è stato condannato per concorso esterno in associazione mafiosa per i contributi alla mafia di Matteo Messina Denaro non c’è stato un comunicato da parte delle opposizioni, tutti muti. 

Silenzi e distrazioni che allontanano le cittadine e i cittadini, l’esito delle regionali è lì a testimoniarlo.

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