Il vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture Matteo Salvini ha un suo noto e peculiare modo di comunicare, basato su affermazioni così perentorie da non lasciare agli interlocutori, ammesso che ne abbiano voglia, lo spazio per fargli la domanda più ovvia: «Ma che cosa sta dicendo?».

Resti come fulgido esempio la raccolta di firme per il referendum abrogativo della legge Merlin che, qualche anno fa, accompagnò con l'incrollabile previsione che la riapertura delle case chiuse avrebbe portato nelle casse dello stato due miliardi di tasse all'anno, implicando che le 90 mila prostitute stimate in Italia disponessero di un reddito medio di 65 mila euro all'anno e fossero pronte a vederlo ridotto ispo facto a circa 40 mila.

Giovedì 25 gennaio, intervistato da Lilli Gruber a Otto e mezzo, ha nuovamente sfoderato la recente scoperta che da qualche mese ripete a giorni alterni: «Non avere il ponte sullo Stretto costa ai siciliani sei miliardi di euro all'anno».

E questo è l'argomento che milita a favore dell'immediata costruzione del ponte, unito all'altro cavallo di battaglia, i cantieri di Messina e di Villa San Giovanni che creeranno centomila posti di lavoro. Spontanea sorge la domanda: da dove ha tirato fuori quel numero e, soprattutto, quel concetto privo di senso comune?

Ossessione ponte

Prima di rispondere sarà utile richiamare il contesto storico. Da alcuni anni tutti quelli che vanno a occupare la poltrona di Porta Pia sentono l'impulso incomprimibile di battersi per quel ponte di cui si parla da 50 anni senza che nessuno si chieda mai se non ci sia una ragione alla base di tante chiacchiere senza fatti. Si preferisce dire «basta con le chiacchiere, passiamo ai fatti», rimettendo così in moto la fabbrica delle chiacchiere.

Sono caduti in tentazione quasi tutti i recenti predecessori di Salvini (Maurizio Lupi, Graziano Delrio, Paola De Micheli, Enrico Giovannini). Salvini, che fino a poco tempo fa scherniva l'idea del ponte come «una renzata», adesso ne ha fatto il suo prediletto tema di propaganda. Certamente se il ponte, il cui costo è stimato in dieci miliardi, facesse davvero risparmiare ai siciliani sei miliardi di euro l'anno, si ripagherebbe da solo in due anni. Perché non farlo?

Il problema è capire da dove proviene l'assioma. Ebbene, due anni fa la regione Sicilia, con il supporto dell'istituto di ricerche Prometeia, ha pubblicato uno studio sui cosiddetti "costi dell'insularità" per l'isola triangolare. E il risultato era proprio che l'insularità costa alla Sicilia ogni anno sei miliardi di mancato Pil (prodotto interno lordo).

Naturalmente nello studio la parola "ponte" non compare mai. Perché ciò che Salvini non dice è che, anche con il ponte, la Sicilia rimarrebbe un posto fuori mano.

Purtroppo per Salvini, e per la nazione tutta che ce l'ha come ministro, i calcoli sui costi dell'insularità vengono fatti dalla Sicilia, come pure dalla Sardegna, per supportare le richieste di compensazione economica allo stato centrale, non per reclamare la costruzione del ponte.

Se Salvini avesse letto attentamente lo studio di Prometeia si sarebbe fatto una domanda: se tutto dipende dall'insularità, perché il costo di trasporto delle merci in Calabria è maggiore che in Sardegna? E perché, se la Sicilia ha un pil pro capite inferiore alla media nazionale per colpa dell’insularità, il Pil pro capite della Calabria, appena al di là del problema ponte, è ancora inferiore? E perché, se la Sicilia ha un numero di laureati molto basso per colpa dell’insularità, la Puglia ne ha ancora meno?

Il problema della Sicilia è molto più semplice e drammatico: è lontana. Il costo dei trasporti per l'isola è molto alto, ma è allo stesso livello nella Spagna sud-occidentale, in Finlandia e nella Grecia continentale. Non sarà il ponte a risolvere il problema, se non quello di alimentare le chiacchiere di Salvini.

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