Inter arma silent leges, dicevano gli antichi romani: tra le armi, le leggi tacciono. Ma, per fortuna, questo oggi non è più del tutto vero. Proprio in questi tragici giorni – nei quali il destino dell’Europa è messo a rischio da una guerra di aggressione che ha fatto ricomparire orrori che tutti ormai credevano sepolti nel passato – si sta facendo strada una forte domanda di giustizia.

La ricerca di una risposta per questa domanda è un compito difficile (del resto, già Kant avvertiva che la determinazione di ciò che costituisce diritto nella guerra è il problema più difficile del diritto internazionale), ma ha certamente un senso profondo: quello di rispondere alla violenza con la giustizia, e non con l’odio e la vendetta. Di reagire alle azioni più disumane con una solidarietà rafforzata verso le vittime, a cominciare dalle più indifese. Di realizzare un potente deterrente contro la barbarie assicurando tutti i colpevoli alla giustizia, senza lasciare aree di impunità per la criminalità del potere.

L’indagine

La corte chiamata a raccogliere questa sfida è nata in Italia, a Roma, nel 1998. Si tratta della Corte penale internazionale, che ha sede a L’Aja e ha la competenza per giudicare su tutti quei fatti che hanno ricoperto di intollerabili sofferenze le cronache di questi giorni, come gli attacchi contro civili, le torture, gli stupri, le deportazioni illegali, le sparizioni forzate, i saccheggi, le uccisioni a tradimento dei soldati nemici, e molti altri gravissimi reati che rientrano nelle categorie dei crimini di guerra e dei crimini contro l’umanità.

Anche se la Russia non ha mai aderito allo statuto della Corte penale internazionale, non c’è dubbio che quest’organo sia competente per accertare e punire tutti gli atroci delitti di questo genere compiuti nell’àmbito della guerra in corso: ciò discende dal fatto che l’Ucraina ha accettato la giurisdizione della corte sui reati commessi sul suo territorio.

Non a caso, il procuratore della Corte penale internazionale, il britannico Karim Khan, ha già aperto un’indagine sulla base del mandato conferitogli da ben 41 paesi, tra cui l’Italia.

Responsabilità da comano

Non si tratta di indagini destinate a colpire soltanto il gradino più basso, rappresentato dagli esecutori materiali, perché lo statuto della corte prevede una “responsabilità da comando” che si estende sia ai comandanti militari, sia ai superiori gerarchici civili, per i crimini commessi dai subordinati come conseguenza dell’omesso controllo da parte loro. Perché sorga la responsabilità dei superiori gerarchici civili è sufficiente un atteggiamento colposo, consistente nell’avere trascurato deliberatamente di tenere conto di informazioni che indicavano chiaramente che i subordinati stavano commettendo tali crimini. Nessuna immunità è prevista dallo statuto della corte per i capi di stato.

Sono quindi le stesse caratteristiche fondamentali della giurisdizione della corte, e i passi già posti in essere dalla sua procura, a far sì che verso di essa si indirizzino le attese delle vittime dell’aggressione compiuta contro l’Ucraina, contro la libertà e la stessa vita dei suoi cittadini, dal governo della Federazione Russa.

L’Unione europea

Anche l’Unione europea sta prendendo una posizione netta. Una struttura operativa che potrebbe produrre importanti risultati concreti, realizzando un’indagine indipendente di notevole efficacia, è la squadra investigativa comune già costituita con il supporto di Eurojust, e destinata a collaborare con la Corte penale internazionale.

Inoltre, proprio questa settimana, dopo la visita della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen a Bucha, è stata annunciata una opportuna modifica del regolamento di Eurojust per consentire di raccogliere tutte le prove dei crimini di guerra, anche con gli opportuni strumenti tecnologici.

Le difficoltà

A importanti fattori di speranza si accompagnano, però, non poche difficoltà. Una di queste riguarda la possibilità di celebrare i processi anche nei confronti di quegli imputati che, per una scelta precisa, decidano di non comparire in giudizio. Un tema, questo, estremamente controverso, che lascia spazio a un ampio potere discrezionale del giudice.

L’auspicio è che il criterio-guida della discrezionalità sia rappresentato dalla esigenza insopprimibile di accertamento della verità su fatti gravissimi che invocano giustizia.

Il giudice italiano

Il giudice Rosario Salvatore Aitala (Foto ICC-CPI)

In ogni caso, in una fase storica in cui la corte dell’Aja vede valorizzato intensamente il proprio ruolo, un contributo fondamentale alla cultura che la ispira può essere dato dal giudice italiano Rosario Aitala, chiamato a comporre la sezione istruttoria competente per i crimini di guerra commessi nel corso del conflitto in Ucraina.

È un magistrato di grande esperienza internazionale, che ha iniziato la propria attività alla procura di Trapani, in quella Sicilia degli anni Novanta dove era fortissima l’eredità ideale di uomini come Giovanni Falcone, convinti che il modo migliore di combattere i più gravi fenomeni criminali è quello di usare le armi dello Stato di diritto e della democrazia, senza cedere alla tentazione di interventi autoritari e leggi eccezionali.

Il profumo della libertà

L’Italia è il paese dove, per la prima volta, la comunità internazionale ha adottato una “Dichiarazione dei princìpi fondamentali di giustizia per le vittime di reati e di abuso di potere”; una conquista importante di civiltà, realizzata nel Congresso Onu tenutosi nel 1985 a Milano e fortemente voluto da un magistrato, come Adolfo Beria di Argentine, che era stato impegnato sul piano giudiziario quanto su quello comunicativo, istituzionale e associativo.

Quaranta anni dopo, nel 2015, l’auspicio «che, sempre più, sia garantita l’effettività della tutela dei diritti, e specialmente dei diritti inviolabili, nella consapevolezza che essi si collocano tra i grandi principi di civiltà giuridica in ogni ordinamento del nostro tempo» era stato espresso a San Pietroburgo dal presidente della nostra corte Costituzionale, Alessandro Criscuolo, ricordato proprio nei giorni scorsi a Napoli in un convegno organizzato da Unità per la Costituzione. L’anno scorso, a New York, nell’assemblea generale delle Nazioni Unite, sono risuonate, attraverso l’intervento della ministra della Giustizia italiana, Marta Cartabia, le parole di Paolo Borsellino sulla «bellezza del fresco profumo della libertà».

Recuperare ed attualizzare la grande dimensione culturale che ha contrassegnato il percorso storico della magistratura italiana è, oggi come ieri, la strada maestra per ricostruire la fiducia della collettività verso la giustizia, e non solo a livello nazionale.


Antonio Balsamo è presidente del Tribunale di Palermo, incluso nella lista dei giudici ad hoc della Corte europea dei diritti dell'uomo

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