Con l’ultimo decreto legge del governo il certificato verde ha avuto un upgrade, passando a super green pass in una serie di contesti. Con l’esclusione del tampone dalla certificazione Covid, i non vaccinati avranno molte limitazioni nell’accesso a luoghi e attività. Essi dovranno capitolare, se vogliono svolgere una vita normale.

Il costituzionalista Michele Ainis ha spiegato la questione dicendo che «il vaccino è già obbligatorio, benché gli italiani non ne siano stati informati». E il ministro Renato Brunetta ha qualificato come «sanzioni» le restrizioni alla libertà dei non vaccinati. Ma sanzioni dovrebbero conseguire a comportamenti illeciti, invece il super certificato punisce di fatto un comportamento legittimo: l’esercizio della libertà di non vaccinarsi che, salvo alcune categorie, ancora esiste.

Detto questo, il nuovo decreto presenta diverse criticità, che vanno rilevate.

Certezza del diritto

La stratificazione delle norme emergenziali - in tema di green pass, in particolare - fa sì che l’ultimo decreto legge non sia di agevole lettura. Più specificamente, può risultare arduo capire cosa sia precluso ai non vaccinati. In sintesi, a questi ultimi è consentito l’accesso in luoghi ove le norme vigenti non pongano alcuna condizione, salvo che il possesso del certificato verde.

Ad esempio, in palestre, musei, sale da gioco, dove non sono previsti limiti di capienza o altri, si può entrare con il green pass base; mentre per la ristorazione serve quello rafforzato. Ma per sciogliere ogni dubbio bisognerà attendere le Faq. Ci si chiede perché non si scrivano norme chiare, in ossequio al principio di certezza del diritto, anziché note di chiarimento delle norme stesse, facendo un lavoro doppio.

Inoltre, le regole devono essere provviste di effettività, oltre che di efficacia. Ad esempio, la misura del green pass su qualunque mezzo di trasporto pubblico, senza che vi siano le condizioni per effettuare seri controlli, se pur utile, rischia di restare inattuata.

E ciò sarebbe non solo uno spreco di risorse, ma anche dimostrazione dell’incapacità del decisore di svolgere analisi di impatto e studi di fattibilità fondati. Come ha scritto il costituzionalista Vladimiro Zagrebelsky, «una legge che non si sia in grado di far osservare è peggio della assenza di legge».

Riguardo ai mezzi pubblici, una notazione. Per non limitare il diritto all’istruzione, il green pass non è condizione per l’accesso a scuola, mentre è richiesto se gli studenti over 12 devono prendere autobus, metropolitane ecc. per recarsi a scuola. La limitazione consegue comunque, com’è palese.

Zone a colori

In un articolo precedente si era provato a capire come la disciplina delle zone a colori si conciliasse con quella in tema di super green pass. L’ultimo decreto rende ancora più ardua tale conciliazione, perché per alcuni versi vanifica le regole sulle colorazioni. Infatti, ai vaccinati resta consentita qualunque attività, mentre ai non vaccinati molte di esse vengono precluse anche in zona bianca, cioè quella a minor rischio, che tra il 6 dicembre al 15 gennaio è equiparata alla gialla.

ll governo dovrebbe chiarire quale sia il senso di conservare le regole sulle zone a colori: o queste ultime hanno una specifica funzione nella prevenzione e riduzione del contagio, con misure proporzionate al livello di rischio di ogni zona, oppure, se la funzione è cambiata, vanno modificate.

Qualcuno afferma che sia lo status vaccinale a fare la differenza: allora non si comprende perché, dal 6 dicembre al 15 gennaio, in zona bianca il non vaccinato, se pur con tampone negativo, sia soggetto a molti divieti; e perché in zona rossa il vaccinato sia sottoposto alle stesse limitazioni di chi non lo è. Questi dubbi richiederebbero una spiegazione trasparente.

C’è poi un profilo ancor più rilevante. Stringenti restrizioni anche in zona bianca per il non vaccinato che possa dimostrare di essere negativo al virus appaiono sproporzionate rispetto al rischio che, secondo i parametri normativi, si corre in tali zone. Ciò solleva dubbi in punto di diritto.

Non basta dire che la compressione della libertà dei non vaccinati è finalizzata a prevenire peggioramenti epidemiologici. Il principio di precauzione, se non temperato dal principio di proporzionalità, rischia di travolgere lo stato di diritto, legittimando qualunque misura limitativa di libertà a fronte di qualsivoglia evento che il governo pro tempore reputi pericoloso.

Se questa impostazione fosse sdoganata sul piano politico - con buona pace di quello giuridico, ormai degradato a fisima e cavillo - le sue applicazioni potrebbero essere aberranti.

Va pure osservato che le restrizioni per i non vaccinati in zona bianca termineranno il 15 gennaio, cioè prima che scada il periodo entro il quale il parlamento può convertire il decreto legge, e dunque potrebbero sfuggire al vaglio del parlamento. Pessima cosa.

Il nodo delle scadenze

La certificazione verde in ambito lavorativo è prevista fino al prossimo «31 dicembre 2021, termine di cessazione dello stato di emergenza»; per quella prevista negli altri ambiti il termine può desumersi dalle premesse del decreto che l’ha imposta in maniera estesa nel luglio scorso e coincide comunque con la fine dello stato di emergenza.

L’ultimo decreto va oltre tale limite temporale: da un lato, l’uso della certificazione è disposto almeno fino al 15 gennaio, quindi oltre la data di copertura normativa; dall’altro lato, non contiene alcun riferimento allo stato di emergenza.

Dunque, al momento non è dato sapere fino a quando la misura del green pass - versione base e super - sarà vigente, e questo è uno strappo in punto di diritto: ogni misura limitativa di libertà deve avere un termine. Nelle prossime settimane di certo questo vulnus sarà sanato, ma lo strappo si è comunque già prodotto.

A proposito di scadenze, i lavoratori soggetti a obbligo vaccinale (la platea è stata estesa dall’ultimo decreto), ma che non si vaccinano, sono sospesi da lavoro e stipendio, senza licenziamento. Il termine finale dell’obbligo di vaccino, che prima era il 31 dicembre 2021, è stato cancellato dal nuovo decreto. Quindi, i lavoratori rischiano di restare sospesi all’infinito, ma con diritto alla conservazione del posto. In concreto, un assurdo.

Un’ultima considerazione. Ormai, di fatto, c’è un obbligo generalizzato di vaccino senza che esso sia stato prescritto normativamente. Se un obbligo in via diretta fosse stato previsto per tutti, è probabile che non sarebbe stato attuato diversamente da quello del super green pass.

Quindi, in concreto non sarebbe cambiato molto. Ma un obbligo di vaccino sancito espressamente avrebbe costituito un elemento di chiarezza. Ainis ha scritto che «il governo talvolta dev’essere insincero, per non allarmare i cittadini». Noi, invece, continuiamo a reputare che la trasparenza sia alla base del rapporto di fiducia fra il potere e i cittadini stessi. In pandemia ancor più che in altri momenti.

© Riproduzione riservata