È sera, i figli dormono, finalmente hai tempo per te. Ma anche se non hai figli il discorso vale lo stesso, quale che sia la tua vita è arrivato solo adesso il momento in cui hai davvero tempo per te.

Cosa vorresti fare? In realtà niente di speciale, vorresti solo vedere una serie televisiva per rilassarti, e da parecchi minuti vai avanti e indietro sullo schermo alla ricerca di qualcosa che ti piaccia. A tratti ti sembra che non ci sia nulla di interessante, ma se ti concentri bene sui titoli capisci che non può essere così.

L’offerta di programmi appare infinita, questo servizio al quale ti sei abbonato sembra una caverna sconfinata di contenuti. Deve pur esserci qualcosa che si può anche solo tentare di vedere, rischiando.

Però non decidi, non riesci. E allora pensi che non sei capace di prendere decisioni e soprattutto non sai vivere l’avventura di vedere una cosa col rischio che non ti piaccia. Sei contemporaneamente un inetto e un pavido. Hai la sensazione che passerai la serata in questo modo, cercando qualcosa da guardare e riflettendo sulle tue incapacità.

Eccessi 

Emily Dickinson scrisse in una poesia: «Io vivo nella possibilità». O più letteralmente «Io abito nella possibilità». È una poesia che mi capita di citare spesso, mi piace l’energia che comunica. Ma è anche una poesia composta in un’epoca e in un contesto in cui le possibilità erano un mistero.

Il regno della scarsità. Oggi viviamo in un mondo in cui l’eccesso (magari a buon mercato, magari di cattiva qualità, ma comunque eccesso) è parte della nostra vita. Una pletora di occasioni sorridenti ci osserva dagli scaffali del mondo. Se Emily Dickinson fosse viva oggi forse scriverebbe «Io muoio nella possibilità».

Oppure: «Io soffoco nella possibilità». O ancora: «Io nella possibilità ci vivo proprio male». La possibilità, forse, le sembrerebbe un incubo di inospitalità.

Passiamo tutta la vita a impegnarci per potere un giorno avere almeno certe opportunità di vita vera all’interno del nostro tempo libero, ma nel momento in cui le abbiamo restiamo come pietrificati, e germoglia in noi un affanno.

La vita ci sembra impegnativa, e non sappiamo come usarla. Buttiamo il tempo, e a fine giornata siamo sicuri di averlo buttato, immersi in un magma. È come se non sapessimo dove mettere i piedi, e allora restiamo lì impalati a guardare di fronte a noi. Un paesaggio, uno schermo.

Apriamo un libro, lo chiudiamo, iniziamo a studiare un argomento, la nostra testa vola via come un palloncino. Pensiamo (non si sa bene perché) a Tom Cruise. Nei film si butta davvero col paracadute in situazioni estreme, non usa le controfigure, no, si rifiuta. Rinuncia alla possibilità delle controfigure, e recita nelle scene più rischiose. Forse lo fa perché così a fine giornata ha la sensazione di aver fatto qualcosa.

Nativi della possibilità

Guardiamo i nostri figli. Pensiamo, malinconicamente, che crescono in un mondo pieno di possibilità, almeno in apparenza, un mondo che però sembra impossibile da navigare. Un ambiente vischioso. Non sappiamo se dobbiamo essere preoccupati per loro, oppure se il fatto che loro siano “nativi della possibilità” li renda automaticamente adatti alla possibilità. Come se fosse avvenuta una mutazione. Cosa dobbiamo fare?

Lasciarli stare, che si arrangino? Insegnare loro a sopravvivere in questo strano eccesso? Ma come, se non siamo in grado di farlo noi? Oppure potremmo fargli un discorso sui bei tempi andati. (Tempi che neanche sappiamo bene quali siano). Un discorso su come fosse bello non avere tutto a disposizione. (Ci addormentiamo alla sola idea di fare per davvero un discorso del genere).

Cos’è la paralisi, in senso mentale? È il nostro cervello che, spaventato da qualcosa, decide di privarsi della possibilità di provare a condurre un’esistenza piena. Questo stato di cose ci provoca ansia, perché istintivamente pensiamo di trovarci in una situazione sbagliata. Ma come, dovremmo usare le opportunità, quelle che abbiamo lì a portata di mano, dovremmo fare del nostro tempo vissuto un’opera d’arte oppure un’opera dello spirito. Non ci viene mai in mente che, forse, «privarsi della possibilità di condurre un’esistenza piena» è in fondo una situazione accettabile, e forse è un bisogno umano.

Dopotutto, cos’è un’esistenza piena? È così importante non lasciare spazi vuoti? Ci piace molto ricordare quel pomeriggio domenicale in cui, senza premeditazione, abbiamo preparato una torta di mele mentre i nostri bambini giocavano fra loro. È stato un pomeriggio bellissimo, eppure non ci siamo buttati col paracadute.  

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