Circa il 10 per cento dei cittadini russi sono musulmani: si tratta della più ampia popolazione islamica presente in Europa. Malgrado tale massiccia presenza, le violenze inflitte (anche) ai musulmani nel contesto della Russia sono radicate nella storia e appaiono ancora oggi molto visibili nel contesto della Cecenia (e non solo).

Nel discorso tenuto da Vladimir Putin lo scorso 21 febbraio, il presidente russo ha menzionato l'Impero ottomano, spingendosi ad affermare che i tatari di Crimea sono dei “terroristi islamici radicali”. La storia, tuttavia, ci ricorda che la Crimea, annessa da Mosca nel 2014, non è mai stata russa.

Almeno 300mila Tatari vennero espulsi dalle autorità russe tra il 1856 (al tempo dello zar Alessandro) e l’epoca di Stalin: le loro terre vennero redistribuite a beneficio di migliaia di slavi, – e di altre etnie cristiane – i cui discendenti abitano tutt’oggi quelle terre. In anni recenti, Putin ha cercato in maniera crescente di cooptare l'Islam piuttosto che combatterlo. Il governatore-fantoccio della Cecenia, Ramzan Kadyrov, rappresenta l'esempio forse più lampante di tale strategia.

Essere consapevoli di questi così come di numerosi altri problematici aspetti non deve tuttavia trasformarsi in un pretesto utile a rendere più accettabili le crescenti e sovente acritiche semplificazioni che, non di rado senza contraddittorio, stanno investendo larga parte dei mezzi di comunicazione e della classe politica italiana ed europea.

Oltre il “benaltrismo”

L’illegale invasione dell'Ucraina ha infatti consolidato una serie di assunti che nei precedenti conflitti – dalla ex Jugoslavia fino all'Iraq – hanno goduto di un sostegno molto più limitato, tanto in Europa quanto in Nord America.

Il primo assunto riguarda la constatazione che "l'autodifesa preventiva" (ovvero il pilastro della "Guerra al terrorismo" lanciata da Washington), così come ogni “invocazione pretestuale della forza usata in anticipo” (per usare la definizione di John Quigley in riferimento alla Guerra dei Sei Giorni del 1967), sono sempre illegali e meritano reazioni coerenti.

Il secondo consolidato assunto è che le stragi che coinvolgono bambini e famiglie sono sempre responsabilità di chi le perpetra. Infine il terzo e non meno importante: deve sempre essere ritenuto inammissibile fare riferimento a “danni collaterali” quando sono coinvolti dei civili.

Ognuno di questi ormai consolidati assunti ha molto a che vedere con Putin e con le sue inaccettabili strategie di conquista. Ma ognuno di essi dovrebbe essere pertinente anche quando si fa riferimento alla campagna di bombardamenti compiuti con proiettili all’uranio impoverito dalla Nato, senza alcun avallo dell’Onu, durante la guerra del Kosovo (circa l’84 per cento delle vittime del conflitto in Kosovo sono morte durante o a seguito dell’intervento della Nato), così come dovrebbe essere valido quando ci si sofferma sulle azioni delle autorità ucraine.

Ciò che è accaduto al giornalista Andrea Rocchelli (1983–2014), deliberatamente ucciso nel Donbass – insieme a molti altri civili locali – dalle forze armate ucraine, rappresenta una significativa conferma di ciò.

In maniera ancora più evidente, tutto ciò è valido anche per quanto concerne la guerra condotta dagli Stati Uniti e dai loro alleati (ne fece parte anche l’Ucraina) contro l’Iraq, nel contesto della quale sono stati uccisi centinaia di migliaia di esseri umani, per i quali ad oggi nessun politico occidentale è stato tenuto a render conto.

In altre parole, oggi più che mai è importante sottolineare tanto l'immoralità dei bombardamenti quanto l’illegalità dell'invio di carri armati in paesi terzi: la guerra è infatti terribile a tutte le latitudini (e non è più inaccettabile solo perché accade in Europa). Chiedere la ragione per la quale i funzionari statunitensi che hanno ingannato il mondo e invaso un paese sovrano nel 2003 non siano mai stati ritenuti responsabili delle loro azioni non dovrebbe essere semplicemente liquidato come una forma di whataboutism (“benaltrismo”).
 

L’esportazione dei propri interessi

Invadere un paese sovrano (l'Ucraina) ed “esportare la democrazia” sono due facce (illegali e immorali) della stessa medaglia. La Russia sta oggi “esportando” ciò che gli Stati Uniti, in forme più o meno diverse, hanno “esportato” in molte aree del mondo da decenni, ovvero i loro interessi (strategici, politici, economici). Eppure tali nefaste strategie – talvolta ammantate da grandi e strumentali ideali – hanno suscitato reazioni molto diverse in larga parte delle classi politiche nonché dell’opinione pubblica dei paesi europei.

Ciò appare ancor più problematico se si considera che molti dei nostri paesi sembrano oggi improvvisamente non mostrare alcuna esitazione nell'accogliere centinaia di migliaia di profughi; da un giorno all’altro, non sembrano avere alcun problema a inviare armi e rifornimenti, senza contare le proteste e i boicottaggi che, opportunamente, hanno seguito lo scoppio della guerra. Tutto ciò fa parte di un evidente doppio standard che meriterebbe maggiore attenzione critica, nonché una più profonda comprensione.

Quali soluzioni?

L'Ucraina, paese sovrano, non è tenuta a coordinare le sue politiche con la Russia. Questo è ancor più valido se si considera che Mosca non ha rispettato l'accordo firmato nell'ambito del conflitto in Georgia nel 2008 e non ha ritirato le sue forze da quel Paese.

Fatte salve queste considerazioni, negli ultimi anni tanto gli Stati Uniti quanto i loro alleati europei hanno inviato in Ucraina miliardi di dollari in armi. Tali dinamiche sono diventate sempre più evidenti a seguito del 2014, quando il corrotto ancorché democraticamente eletto governo guidato da Viktor Yanukovich è stato rovesciato in circostanze controverse. Queste ultime hanno coinvolto anche il Battaglione Azov, l'unità neonazista attualmente arruolata all’interno della Guardia nazionale dell'Ucraina.

Tutto ciò ci ricorda che non esistono spiegazioni facili, né soluzioni semplici, come peraltro ci confermano anche le principali crisi globali registrate negli ultimi decenni, inclusa la crisi dei missili a Cuba dell'ottobre 1962.

Quali dunque le possibili soluzioni? Francia, Germania e Italia – che, contrariamente ai lontani Stati Uniti, hanno molto da perdere dall’attuale crisi – dovrebbero farsi promotrici di un “dialogo sulla sicurezza”, finalizzato a confermare la “garanzia storica” (ricevuta da Mosca nell’ottobre del 1993) che la Nato non si allargherà fino all'Ucraina, in cambio di un chiaro impegno a sostegno della sovranità nazionale ucraina (includente anche la regione del Donbass) e di una smobilitazione completa delle truppe dislocate lungo tutto il confine che divide l’Ucraina dalla Russia.

500 anni fa Niccolò Machiavelli, ispirato dal suo proverbiale cinismo, sottolineò che non si debba mai «umiliare nessuno che non si è sicuri di poter distruggere». La comunità internazionale è tenuta ad agire in modo che nessuna delle parti in causa si senta priva di una via di uscita dall’attuale crisi.

L'alternativa potrebbe essere la fine dell'umanità come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

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