Giorgia Meloni pensa che i cittadini italiani siano degli smemorati o degli ignoranti. Le sue affermazioni sul Movimento sociale italiano, il luogo politico-simbolico dove batte forte il cuore della premier,  smentiscono ogni illusione di una rapida metamorfosi democratica di FdI

A fianco dell’incontenibile Ignazio La Russa che dimostra con le sue esternazioni nostalgiche di essere del tutto estraneo alle logiche istituzionali, tanto da aver espresso il suo fiero “me ne frego”  dei limiti imposti dalla sua carica, è ora scesa in campo anche Giorgia Meloni.

Nella sua conferenza stampa di fine anno ha inanellato una serie di interpretazioni del neofascismo missino oscillanti tra l’edulcorato e le pure falsità storiche.

 La più clamorosa è quella di aver definito il Msi un partito della destra democratica.

Uno sguardo ai documenti e ai testi accademici sulla storia di questo partito dimostra senza ombra di dubbio che il Msi è stato un partito antisistema.

Non per nulla nasce per iniziativa di giovani reduci della Repubblica di Salò (che, tra l’altro, rastrellavano gli ebrei per consegnarli ai lager nazisti), spalleggiati dietro le quinte da ex gerarchi del regime; e tutti uniti dall’impegno di mantenere fede all’ “Idea” che, nel gergo missino, indica il fascismo.

Non è un caso che la stessa Meloni, qualche tempo fa, abbia omaggiato la salma del vecchio camerata Teodoro Buontempo sostenendo che si era sempre mantenuto fedele all’Idea.  

Non come quel “traditore” di Gianfranco Fini, l’unico leader postfascista che tentò di affrancarsi da quel passato e per questo, oltre ad essere abbandonato da quasi tutti i suoi antichi sodali, si meritò quella qualifica da parte della leader di Fdi.

La destra italiana, da Berlusconi a Meloni passando per Bossi-Salvini, si rivela una volt di più “unfit”, inadeguata a governare una democrazia liberale, perché i suoi riferimenti culturali sono estranei a quei valori.

Dal populismo qualunquista e benpensante del Cavaliere siamo arrivati, attraverso il localismo e il sovranismo dei leghisti, alla rivalutazione plateale e senza vergogna del neofascismo.

La virtuale assenza di reazioni da parte della stampa e degli opinionisti moderati, per non dire, ovviamente, del mondo della destra, quando costoro hanno chiesto per decenni abiure e pentimenti agli ex comunisti senza esserne mai sazi, dice molto della destra soi disant liberale di questo paese.

Forse destra liberale è un ossimoro in Italia, contrariamente al resto d’Europa.

E proprio questo assordante silenzio pavimenta la via verso forme di democrazia illiberale all’ungherese, di cui il decreto sui rave party  - vera, drammatica urgenza nazionale! -  pone la prima pietra.  

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