Il 12 e 13 febbraio si vota per Lazio e Lombardia, due regioni che mettono insieme quasi sedici milioni di abitanti. Tornano alle urne le due principali città, Roma e Milano. Il primo test per la maggioranza di governo e per le opposizioni.

Si vota per decidere chi governerà nei prossimi cinque anni nelle due regioni la sanità pubblica, in cima alle preoccupazioni nei sondaggi. Eppure la campagna elettorale è inesistente.

Nell'ultimo anno 5,6 milioni di cittadini hanno smesso di curarsi, di accedere a una qualunque prestazione sanitaria del servizio nazionale per l'impossibilità di farlo, saranno ancora molti di più gli elettori che smetteranno di andare a votare.

In Lombardia alle elezioni politiche il 25 settembre 2022 ha votato il 70 per cento, nel Lazio il 64,3. Nel 2018, alle ultime elezioni regionali, lo stesso giorno delle politiche, in Lombardia votò il 73 per cento, nel Lazio il 66,4.

Tra due settimane saranno molti di meno, ma la notizia non è il disinteresse degli elettori a stupire, è il disimpegno dei partiti e dei candidati. Nessun rilievo mediatico, poche iniziative sui territori, i social sono sfiatati come vele senza vento, frequentati da poche migliaia di coraggiosi follower, come ha dimostrato Wired.

Nel Lazio si è parlato della fuga dai confronti del candidato del centrodestra Francesco Rocca, provieniente dalla Croce rossa e uomo degli Angelucci, e per lo scontro dentro Fratelli d'Italia. La corrente dei Gabbiani di Fabio Rampelli è incappata nell'accusa più paradossale che si possa muovere in campagna elettorale: fare campagna elettorale.

Certo, per i candidati della corrente, i colonnelli di Giorgia Meloni avrebbero preferito che tutto si concentrasse sull'unico appuntamento pubblico nell'agenda della premier, il 5 febbraio, ma almeno il povero Rampelli un teatro lo aveva riempito.

In Lombardia il leghista Attilio Fontana ha addormentato il gioco. A fare il risultato ci pensano le opposizioni. Divise tra i candidati di Pd-5 Stelle (Pierfrancesco Majorino) e Terzo Polo (Letizia Moratti) in Lombardia e tra Pd-Terzo Polo (l'assessore uscente alla Sanità Pd Alessio D'Amato) e M5s (Donatella Bianchi) nel Lazio, consegneranno le due regioni al centrodestra senza neppure combattere.

L'assenza di competizione si aggiunge alla disaffezione dal voto. Lo stesso rischia di accadere per le primarie del Pd del 26 febbraio: i sondaggi assegnano la vittoria certa a Stefano Bonaccini contro Elly Schlein, il dibattito non suscita passioni forti, la partecipazione è già prosciugata, come ha ammesso il presidente dell'Emilia Romagna: «Ci faremo bastare quelli che vengono nei gazebo», ha detto all'ultima assemblea del Pd.

Tra l’accontentarsi e l’addormentarsi, di astensione in astensione, l'Italia, la democrazia europea dove si votava di più, assomiglia al paese immaginato da Josè Saramago in Saggio sulla lucidità, in cui alle elezioni crescevano a dismisura le schede bianche. Qui neppure quello.

La campagna elettorale bianca, senza elettori, senza eletti, senza dibattito pubblico trasforma l'Italia da incubatore dell'anti-politica a laboratorio della post-democrazia.

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