Quella del governo non è una riforma fiscale, è un salto all’indietro molto negativo per il paese. Una vera e propria controrivoluzione, che premia i redditi più elevati e le rendite, cristallizza le tante iniquità dell’attuale sistema - tornando di fatto al fisco “cedolarizzato” antecedente la riforma del 1971 - e mette a rischio il finanziamento dei servizi pubblici essenziali e il raggiungimento degli obiettivi di recupero dell’evasione fiscale previsti dal Pnrr.

Costo potenzialmente enorme

La legge delega ha un costo potenzialmente enorme: il solo primo modulo di riorganizzazione dell’Irpef, a tre scaglioni e aliquote, impegnerebbe, secondo le stime, fino a dieci miliardi di euro. Il conto sale di molto considerando gli interventi previsti su Irap, Iva e altre imposte. Nessuno finora ha spiegato come verrà coperto. Certo, la proposta del governo parla di riorganizzazione delle tax expenditures, una strada necessaria ma decisamente complessa e difficile, visti costi politici di un’operazione seria di disboscamento, maggiori entrate o risparmi di spesa.

Il rischio concreto, in realtà, è quello di sacrificare sull’altare delle onerose promesse della delega margini di finanza pubblica che andrebbero destinati al rifinanziamento di funzioni pubbliche cruciali, e strutturalmente sottodotate, come la sanità, la scuola, il welfare. Una scelta di fondo che il governo ha già iniziato a mettere in pratica con la legge di bilancio 2023, che ha tagliato i fondi contro la povertà, de-indicizzato milioni di pensioni del ceto medio e rifinanziato in misura assolutamente insufficiente il fondo sanitario nazionale. Tutto questo per coprire i costi dei condoni e dell’estensione della flat tax per gli autonomi.

Un modello mai adottato in occidente

La “riforma” Meloni punta a un riassetto dell’Irpef con la riduzione da quattro a tre delle aliquote e degli scaglioni, l’allargamento limitato della cosiddetta “flat tax incrementale” anche ai dipendenti e l’obiettivo esplicito della flat tax a regime per tutti i contribuenti Irpef. È un modello che nessun paese dell’Europa occidentale ha mai adottato, che allargherà a dismisura le disuguaglianze e gli squilibri di un sistema tributario già molto ingiusto e inefficiente, premiando i redditi più alti anziché sostenere - come sarebbe necessario - i lavoratori e i pensionati a reddito basso e medio. Si rinuncia a qualsiasi tentativo di riordinare l’imposizione sui redditi che negli ultimi anni sono fuoriusciti dall’Irpef, confermando i regimi speciali di favore che deformano l’equilibrio del nostro sistema fiscale.

Anzi, a dire il vero i regimi di favore vengono ulteriormente estesi, perché si ipotizza l’applicazione della cedolare secca anche agli affitti commerciali. Si prevede anche un “superamento” dell’Irap che però penalizzerà con una pesante sovraimposta Ires le società di capitali, a partire da quelle manifatturiere.

Danni per la competitività

Un danno certo per la competitività del nostro sistema produttivo, che difficilmente sarà controbilanciato dall’introduzione di un’aliquota ridotta Ires sugli “investimenti qualificati” e le nuove assunzioni, il cui impatto reale è tutto da verificare. Molto discutibili sono anche le proposte per contrastare l’evasione e l’elusione fiscale.

Se infatti sono sicuramente condivisibili gli impegni per un uso più efficace delle banche dati e dell’intelligenza artificiale, queste buone intenzioni vengono di fatto svuotate dalla cattiva idea di recuperare il concordato preventivo biennale che Tremonti aveva provato a sperimentare nel 2003. All’epoca, si era rivelato un fallimento. Oggi, il rischio è quello di introdurre nell’ordinamento un condono preventivo permanente, legittimando e rinunciando a recuperare un’evasione di massa che ogni anno sottrae decine di miliardi alle casse dell’orario.

In parlamento ci confronteremo con il governo e la maggioranza e presenteremo le nostre proposte alternative. Il punto di partenza, però, è pessimo: il disegno della “riforma” Meloni, per molti versi, è il contrario di quello che servirebbe per rilanciare lo sviluppo economico e ridurre le disuguaglianze sociali di cui soffre l’Italia. È questo il motivo più importante per contrastarlo con forza nel paese.

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