Il caro bollette e la persistenza dell’inflazione creano problemi per le banche centrali ma anche, e soprattutto, per governi e ministri dell’economia.

Le banche centrali, sia pure con diverso vigore, stanno tutte imboccando la strada della restrizione monetaria. Le banche stesse (è emerso anche al meeting dei banchieri centrali di Jackson Hole) riconoscono che l’aumento dei tassi ha un’efficacia limitata nel tenere sotto controllo un’inflazione dovuta principalmente a colli di bottiglia negli approvvigionamenti e ai prezzi dell’energia; ma sembrano oggi disposte ad accettare un rallentamento dell’economia pur di segnalare la loro determinazione nel combattere l’aumento dei prezzi.

Politiche di bilancio e l’inflazione

Molti, tra cui chi scrive, hanno ripetuto fino allo sfinimento che l’arma principale per combattere l’inflazione in questo momento è la politica di bilancio.

I governi di quasi tutti i paesi avanzati hanno cercato di far fronte all’aumento dei prezzi con misure che andavano dal congelamento delle tariffe ad aiuti mirati ad imprese e consumatori in difficoltà.

Queste misure sono state criticate perché, secondo alcuni fan incondizionati dell’efficienza dei mercati, impedivano ai prezzi di allocare in maniera efficace le risorse. In realtà, la teoria economica ci dice che in presenza di rendite e di rigidità (cioè quasi sempre!) misure come il controllo temporaneo dei prezzi possono ridurre le distorsioni e aumentare efficienza e benessere del consumatore.

È per questo che, proprio per il mercato del gas che oggi sembra impazzito, un price cap europeo sul mercato all’ingrosso rimane una strada che andrebbe percorsa con decisione.

Tuttavia, e lo dicono chiaramente anche coloro che li propongono, i controlli di prezzo non possono essere una misura permanente, principalmente perché alla lunga possono favorire comportamenti non virtuosi.

 Un articolo sul blog del Fondo Monetario Internazionale recentemente ha sostenuto che i governi dovrebbero lasciare che gli aumenti dei costi energetici siano trasferiti agli utenti finali, per incoraggiare il risparmio energetico e l'abbandono dei combustibili fossili.

Un argomento ragionevole, soprattutto se tale aumento fosse accompagnato da misure per proteggere i più vulnerabili e per evitare profitti eccessivi come quelli che abbiamo visto negli ultimi mesi.

L’inflazione è una tassa sui poveri

Secondo gli economisti del FMI, se le tensioni sui mercati dell’energia persistono, occorre passare da misure ad ampio spettro come il controllo dei prezzi a sgravi mirati, come i trasferimenti alle famiglie a basso reddito che soffrono maggiormente per l'aumento delle bollette energetiche. Infatti, per molte ragioni, l’inflazione è “una tassa sui poveri”. In primo luogo, perché questi hanno spesso redditi fissi, che vengono erosi dalla crescita dei prezzi. Inoltre, chi ha redditi più modesti ha anche meno risparmi cui poter ricorrere per mantenere stabili i consumi, e spesso ha meno accesso ai mercati finanziari e al credito. E quando i più poveri riescono ad accedere al credito, questo avviene spesso nel settore informale, a tassi proibitivi.

La maggiore incidenza dell’economia sommersa tra i redditi bassi, infine, implica che questi non sono coperti dalle misure che proteggono i lavoratori dipendenti dagli aumenti dei prezzi o da altri shock.

Si pensi alle difficoltà incontrate per sostenere i lavoratori in nero durante i lockdown legati al Covid; non è un caso che la disuguaglianza sia aumentata drammaticamente durante la pandemia.

C’è poi un ultimo elemento, legato alla natura specifica di questa fiammata inflazionistica: prodotti energetici e alimentari rappresentano una porzione più importante dei panieri di consumo delle famiglie meno agiate, il cui potere d’acquisto è quindi ridotto in proporzione maggiore. Per alcuni paesi, tra cui l’Italia e il Regno Unito, l’aumento del costo della vita è stato notevolmente più alto per il 20% più povero della popolazione che per il 20% più ricco.

Combattere la disuguaglianza

Tuttavia, visti i tassi di inflazione che osserviamo in questi mesi, sarebbe illusorio pensare che delle misure tampone, siano esse trasferimenti, sconti in bolletta o altro, possano compensare i consumatori più poveri in maniera adeguata ed eliminare le differenze di impatto sul potere d’acquisto rispetto alle famiglie più ricche.

Se si vogliono veramente proteggere i più poveri da shock che in un mondo sempre più instabile saranno inevitabilmente più frequenti, sembra ineludibile un serio programma di contrasto alla disuguaglianza che, ormai lo sanno anche i sassi, negli ultimi quarant’anni è aumentata quasi ovunque.

Le soluzioni proposte per invertire la tendenza si dividono in due categorie. Quelle volte a ridurre la disuguaglianza ex-post (attraverso una redistribuzione tramite il sistema fiscale dei redditi generati dal mercato) spaziano da un recupero della progressività dei sistemi fiscali all’introduzione di strumenti universali di sostegno ai redditi (parenti del reddito di cittadinanza nostrano) o ancora al rafforzamento di imposte patrimoniali e di successione.

Poi ci sono le misure volte a ridurre la disuguaglianza detta di mercato tra i redditi: meno precarietà sui mercati del lavoro, salari minimi di importo significativo, sistemi di istruzione e formazione più accessibili ed efficaci, regolamentazione dei mercati volta a ridurre rendite ed eccessivo potere di mercato.

La letteratura è sterminata: sono decenni che economisti e policy makers dibattono di  costi e benefici di ognuna di queste misure. Quello che preme qui sottolineare è che nella congiuntura attuale le sacrosante e certamente utili misure tampone a protezione dei redditi più bassi dovrebbero essere accompagnate (e purtroppo non sembrano esserlo; in questo senso la campagna elettorale nostrana sembra essere l’ennesima occasione perduta) da una seria riflessione su come ridurre le disparità di reddito nel medio e lungo periodo.

Nei prossimi anni la transizione ecologica porterà con sé tensioni inflazionistiche che invariabilmente colpiranno soprattutto i più poveri.

La crisi di questi mesi è un'opportunità per invertire la tendenza all’aumento della disuguaglianza e per combinare politiche redistributive con politiche che garantiscano posti di lavoro stabili e ben retribuiti e l'equa condivisione dei guadagni di un'economia in crescita.

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