Zugzwang è una termine degli scacchi capace di destare l’apprensione in qualsiasi giocatore. Arriva dal tedesco e significa propriamente “costrizione alla mossa”.
Si può incorrere in uno Zugzwang in maniera inaspettata, mentre si è impegnati a sviluppare la propria partita in modo impeccabile: l’avversario sposta una pedina a cui non si dava particolare importanza e d’un tratto si è indotti a una sequenza di mosse che, a meno di un brillante guizzo di fantasia capace di ribaltare la nostra prospettiva, è destinato a condurci verso la sconfitta o il sacrificio di pezzi importanti. In altri termini, una trappola.

Nel mondo fuori dalla scacchiera, lo Zugzwang può essere inteso come un fenomeno più complesso. Non è soltanto un elaborato trucco del nemico, ma un meccanismo alla cui costruzione partecipano attivamente le nostre convinzioni: il frutto di un gioco a cui ci siamo a lungo affidati con apparente successo e che non riusciamo ad abbandonare.
Comunità, nazioni e civiltà non amano mai sperimentare novità. Sanno che ciò comporterebbe mettere a rischio certezze acquisite. Quando possono, modellano le proprie azioni secondo il moto di collaudate necessità, anche a rischio di ignorare ulteriori possibilità.

La trappola

Nello Zugzwang in cui è caduto Israele, e, prima di esso, l’intero mondo occidentale dall’invasione dell’Ucraina, risaltano i cardini fondanti della nostra visione di storia: «L’integrità territoriale di uno stato sovrano va preservata ad ogni costo; non si può cedere al terrorismo; la democrazia va difesa dall’attacco di qualunque autoritarismo; l’autodeterminazione di ogni popolo è un principio inalienabile». Affermazioni indubitabili e incontestabili, ma anche sintomo di una prospettiva assiomatica che ha reso il gioco prevedibile; così l’avversario ha mosso il suo pezzo e la trappola si è rivelata in tutta la sua tragica evidenza.

Come si esce allora da questo Zugzwang? Di certo non limitandosi ad interrogarsi su come ci si è entrati: riflettere su ciò che avremmo potuto e dovuto fare due o dieci mosse prima è un investimento di tempo e risorse poco utile quando le lancette del cronometro avanzano a bordo della scacchiera.
Se c’è una possibilità di sopravvivere e vincere, non la troveremo nei manuali o nelle partite dei maestri del passato, ma in una estrema proiezione della nostra immaginazione. Una “mossa geniale”, un guizzo tanto originale quanto coraggioso, capace di liberarci dalla morsa di un presente che appare stretto in una strada a senso unico.

La guerra, oggi, ci ha colti a metà della partita e certo nessun sacrificio si può più chiedere a chi ha perso tante vite sul campo. Il rischio è tuttavia quello di perseverare in maniera ostinata nell’analisi delle cause che hanno portato alla situazione attuale. L’unica domanda che ha senso ora porsi è allora: come si può venir fuori da questo vicolo cieco?

Costruire un futuro

La risposta non verrà da un’ispirazione subitanea. È necessario costruire le condizioni perché una fantasia così audace prenda forma: un’infrastruttura emotiva e culturale che permetta di avanzare una visione del futuro diversa. Cominciando dal linguaggio. La parola è il mattone con cui edifichiamo la realtà, anche oggi che è vittima dello sclerotizzarsi di una prospettiva che ci ha resi capaci di parlare solo al passato.
Un esercizio utile solo a rinfacciarci le mosse sbagliate, incapace di accogliere con delicatezza e attenzione il riconoscimento e il rispetto del dolore di tutti. Per guardare al domani è necessario parlare al futuro, letteralmente. Se una proposizione assume senso solo con verbi coniugati al passato, va scartata al momento: sono secondi preziosi, sottratti allo sforzo di immaginare le mosse giuste.

Rispetto agli scacchi, in cui le scelte davanti ad uno Zugzwang sono quasi obbligate, il mondo per fortuna non è limitato in 64 caselle. Costringendoci a pronunciare ogni frase al futuro, potremmo scoprire nuove soluzioni possibili: anche quelle che non tengono conto di regole e campo di gioco. E chissà che, col tempo, non si riesca a giocare partite completamente diverse.

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