Il cinquantacinquesimo rapporto Censis 2021 sulla situazione sociale del paese ha un capitolo sul “boom della povertà.”  Nel 2020 due milioni di famiglie italiane vivono in povertà assoluta, più del doppio rispetto a dieci anni fa – una crescita del +104,8 per cento. La crescita della povertà è legata prima di tutto alla diminuzione dell’occupazione e a pensioni insufficienti. L’aumento è sostenuto soprattutto al Nord (+131,4 per cento) rispetto al Centro (+67,6 per cento) e al Sud (+93,8 per cento). 

La pandemia ha dato il colpo di grazia alla debolezza strutturale del sistema economico del paese. Tra le famiglie cadute in povertà assoluta durante il 2020, il 65 per cento risiede al Nord, il 21 per cento nel Mezzogiorno, il 14 per cento al Centro.

Una fonte di disagio sociale deriva dal rapporto con il digitale, che è penalizzante per larghe fasce di popolazione che non possiedono la materia prima. La digitalizzazione che il nostro governo porta come fiore all’occhiello del Pnrr, tiene fuori milioni di cittadini, lavoratori e studenti. Se ne preoccuperanno a Palazzo Chigi?

Il problema era già stato osservato nei primi mesi del lockdown 2020 quando è emerso il dislivello di opportunità materiali tra studenti in ragione dell’appartenenza di classe. Senza un computer, un modem e una linea wi-fi oggi si rischia l’analfabetizzazione di massa.

Il rapporto Censis ci dice che il 35,2 per cento degli studenti degli ultimi anni delle superiori e dell’università ha avuto difficoltà nella formazione a distanza per questa ragione; e che l’11 per cento degli occupati in urgente necessità di tenere le proprie attività lavorative in versione digitale, è stato penalizzato.  La povertà viaggia sul web.

Difficoltà scolastica e povertà stanno insieme. Il calcolo è che per il 60,7 per cento degli italiani, «in assenza di interventi adeguati», il digitale aumenterà le disuguaglianze e sarà un fattore decisivo di povertà. 

La connettività a internet è una delle condizioni perché ci siano pari opportunità – nella scuola come nel lavoro, come nella vecchiaia, come nella vita quotidiana di tutti –  visto che gli sportelli dell’amministrazione pubblica si stanno di fatto trasferendo dai luoghi fisici alla rete. 

I nostri ministri tecnologici intimano rimproverano al sistema scolatico di far studiare le guerre puniche invece che l’informatica. Sarebbe desiderabile, piuttosto, che i ministri competenti si interrogassero su che cosa fanno o stanno facendo loro per rendere quello strumento che tanto magnificano (giustamente) un bene di base, un diritto essenziale. Che si prendessero la responsabilità di rendere il possesso e l’uso di questo mezzo alla portata di tutti i cittadini.

E’ chiedere troppo di studiare sia le guerre puniche che i rudimenti informatici? E’ chiedere troppo pretendere per tutti e tutte l’opportunità materiale e conoscitiva di studiare e lavorare? Ovviamente non lo è. Meno dichiarazioni roboanti più azione concreta, celere e utile.

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