C’è incertezza sull’evoluzione reale della presenza cinese in Africa: sta rallentando o solo cambiando pelle? La deglobalizzazione muta certamente le condizioni della nuova via della seta, in specie quella marittima che riguarda l’Africa. A partire da alcuni porti dell’oceano Indiano – come Mombasa – si vorrebbero creare degli hub multimodali che attraversino il continente per trasportare le merci sul lato atlantico. Sarebbe un bel risparmio in termini di tempo e costi ma gli investimenti previsti sono molto onerosi e il quadro generale dell’economia globale li sta facendo slittare.

Qualcuno ha sostenuto che la presenza di Pechino sul continente stesse rallentando a causa della pandemia che ancora prosegue in Cina, mentre in Africa l’impatto è stato insolitamente mite. Ma un ostacolo molto più sgradevole e impegnativo è stata la polemica sui prestiti cinesi e il conseguente rischio di una nuova crisi del debito estero nel continente.

Accusata di non aver dato seguito alle decisioni comuni del G20 sulla ristrutturazione del debito dei paesi in difficoltà, la Cina ha dovuto annunciare in fretta a fine agosto l’annullamento di oltre venti prestiti a 17 paesi africani.

Inoltre, si è impegnata a offrire all’Africa l’equivalente di dieci miliardi di dollari dei suoi diritti speciali di prelievo presso il Fondo monetario internazionale. Non è bastato a far tacere le voci malevole: anche se in questo modo si è aperta una specie di gara presso il Fondo monetario su chi avrebbe rilasciato più Dsp in favore del continente, c’è stato chi ha fatto i conti in tasca ai cinesi, specificando che la mossa non costa granché dal momento che rappresenta soltanto l’un per cento del debito africano verso Pechino.

Gli scambi commerciali

Tuttavia i dati economici aggregati mostrano che gli scambi cinesi con l’Africa reggono: un valore di interscambio (import ed export) di oltre 130 miliardi di dollari nel primo semestre del 2022, con un aumento del 16 per cento rispetto allo stesso periodo del 2021, frutto della ripresa post Covid. Ciò significa grosso modo otto volte a quello tra Usa e Africa.

Tuttavia ci si aspetta che la severa politica “zero Covid” messa in pratica in questi ultimi mesi in Cina (che comporta la chiusura di alcuni porti e il lockdown di diverse province), faccia diminuire il trend nel secondo semestre del 2022.

Le statistiche ufficiali mostrano che l’Africa per la Cina rappresenta il tre per cento del suo commercio, mentre  l’Europa e l'Asia rappresentano ciascuna il 18 per cento e gli Stati Uniti il dieci per cento.

Dipendenza agricola

Ovviamente si tratta di verificare quali siano i settori strategici all’interno di tali tendenze generali. Molti esperti considerano che la relazione sino-africana sia ormai di reciproca dipendenza: la Cina è diventata il maggior fornitore di prodotti finiti mentre l’Africa è il suo primo serbatoio di materie prime.

Per rafforzare gli scambi con il continente Pechino punta ora sulla cooperazione agricola, imitando in questo i paesi occidentali. È noto che il continente abbia a disposizione più di 200 milioni di ettari arabili e coltivabili liberi, fatte salvo le foreste.

Per nutrire il pianeta nel prossimo futuro il mondo avrà bisogno dell’Africa. Per tutti il problema è come fare: utilizzare il solito metodo dell’accaparramento delle materie prime – in questo caso agricole – o progettare un partenariato win win in cui l’Africa possa anche trasformare?

Al forum Cina-Africa di Dakar nel novembre 2021, il presidente cinese Xi Jinping aveva annunciato un programma di «corridoi verdi» per le esportazioni agricole africane, allo scopo di facilitare l’accesso dei prodotti freschi africani nel vasto mercato cinese. Pechino vuole andar oltre i prodotti surgelati che penalizzano gli esportatori africani e non solo.

La Cina ha di conseguenza autorizzato, ad esempio, l’importazione di avocado dal Kenya, agrumi dallo Zimbabwe, semi di soia dalla Tanzania, carne bovina dalla Namibia e dal Botswana o frutta dal Sud Africa.

Attualmente sono soltanto 25 i prodotti agricoli permessi che provengono dai paesi africani: su tale terreno la Cina deve ancora recuperare uno svantaggio nei confronti dell’Europa che importa molto di più, grazie anche alla generalizzazione delle sue norme fitosanitarie.

Di fatto sul terreno dell’agricoltura gli africani stessi sono molto incerti: si vorrebbe dotare il continente di industrie di trasformazione e non solo esportare i prodotti. L’autosufficienza alimentare sta cambiando aspetto in Africa assieme alle abitudini alimentari stesse. Forse l’agribusiness può diventare la porta di entrata dell’Africa nell’era dell’industrializzazione. 

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