Rinfrancato da una non-sconfitta elettorale che date le circostanze ha il sapore dolcissimo di una vittoria, Joe Biden incontrerà lunedì il presidente cinese Xi Jinping a margine del G20 in Indonesia.

È il primo incontro di persona da quando Biden è stato eletto presidente. Le premesse non sono quelle del vertice storico: sarà l’occasione per definire perimetro e regole d’ingaggio dei dialoghi che verranno, e l’unica cosa che i funzionari americani si premurano di chiarire è che «non ci saranno concessioni su Taiwan», questione che sintetizza tutte le contese sull’asse delle due potenze globali.

Le aspettative sono tenute appositamente basse, una specialità della Casa Bianca guidata da un presidente impopolare che però padroneggia l’arte della navigazione politica.

Lo ha dimostrato alle elezioni di midterm, dove le attese erano se possibile più modeste di quelle che accompagnano l’incontro con il rivale strategico, riuscendo nella costruzione di un capolavoro tattico sulle fondamenta di un’intuizione politica fondamentale.

Strategia spregiudicata

I democratici hanno arginato i repubblicani – al Senato sarà probabilmente decisivo il ballottaggio in Georgia del 6 dicembre – anche grazie a una spregiudicata strategia estiva che ha fatto storcere parecchi nasi anche a sinistra: aiutare Trump.

Il partito democratico ha investito decine di milioni di euro per sostenere i candidati più oltranzisti indicati dall’ex presidente durante la stagione delle primarie, nella convinzione che sarebbero stati poi più facili da battere alle elezioni generali rispetto a quelli prodotti dall’establishment repubblicano.

Hanno scommesso, cioè, su un disallineamento fra le domande degli elettori e l’offerta di Trump, che nel frattempo riprendeva quota e vigore vedendo che uno dopo l’altro i suoi Mehmet Oz, i suoi Kari Lake, i suoi Blake Masters e tutto il caravanserraglio degli “election deniers” sbaragliava repubblicani più convenzionali.

In alcuni casi candidati che avevano votato per il suo impeachment, affronto estremo che l’ex presidente non vedeva l’ora di vendicare. E così ha fatto, ma mentre disponeva le sue pattuglie sottovalutava il fatto che dall’altra parte i democratici stavano facendo una scommessa uguale e contraria alla sua.

Il reality del clan

Il midterm ha mostrato che la tattica spregiudicata del senescente Biden ha pagato. Certo, la destra ha conquistato la Camera, com’è nella dinamica della politica americana, ed è riuscito a piazzare circa 150 negazionisti elettorali a vario titolo delle elezioni al Congresso, ma quelli su cui puntava di più hanno perso, ingenerando il solito reality di litigi e accuse all’interno del clan, con la moglie Melania che si deve sorbire anche le accuse di averlo mal consigliato. E intanto il governatore della Florida, Ron DeSantis, viene incoronato come volto del trumpismo dopo Trump.

Ora l’ex presidente si presenta al roboante annuncio promesso per il 15 novembre con livelli di fiducia perfino più bassi rispetto a quelli di Biden verso l’incontro con Xi.

Il grande colpo di tattica elettorale si innesta però su una dato più profondo che il midterm ha portato in superficie: gli elettori repubblicani, anche quelli sedotti dal senso distruttivo del suo nazionalpopulismo a trazione narcisista, ora chiedono un programma, un’idea. Il conservatore Sohrab Ahmari, intellettuale che rappresenta l’anima nazionalista e protezionista che detesta la destra Reagan-Bish, ha scritto sul New York Times: «Alla fine dei conti, il partito repubblicano non ha offerto agli americani comuni niente che avrebbe potuto davvero aumentare il loro potere o rendere le condizioni più eque. Questa incapacità ha tolto al partito la possibilità di ottenere una vittoria più ampia».

Insomma, il messaggio di Trump ha avuto successo quando c’era da picconare uno status quo detestabile e insostenibile per ampi segmenti della popolazione americana, ma dopo anni di cacofonia politica, di menzogne e incitamento all’odio democratico, anche gli stessi elettori che lo guardavano con simpatia ora chiedono altro.

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