Non passa giorno senza che annuncino ulteriori strette al reddito di Cittadinanza. L’ultima riguarda il pasticcio intorno alla congruità dell’offerta, prima scomparsa e poi ripristinata per un errore nella preparazione dell’emendamento. Ma la volontà politica, come si sono affrettati a dire gli esponenti del centro-destra, resta.

In pratica la prima offerta di lavoro non potrà essere rifiutata, senza bisogno di considerare né le esperienze e le competenze maturate, né la distanza dal domicilio. Insomma, qualunque lavoro pur di mettere fine alla dipendenza da un sussidio. Attualmente la normativa considera congrua un'offerta a determinate condizioni ma con notevoli differenze. Nella migliore delle ipotesi – ad esempio – può capitare un lavoro a tempo indeterminato raggiungibile con il bus, nel peggiore dei casi un part time in somministrazione per quattro mesi a 100 minuti da casa.

La difficoltà di un futuro possibile

Tenuto conto che stiamo parlando di persone estremamente fragili sarebbe necessario semmai essere meno rigidi nel valutare il grado di congruità sulla base della reale situazione, ad esempio permettendo a chi prende in carico il caso di considerare discrezionalmente cosa sia congruo e cosa no. Ecco perché sarebbe utile reintrodurre l'analisi preliminare del nucleo beneficiario con la possibilità di verificare il grado di congruità dei lavori proposti, disponendo anche di percorsi di accompagnamento al lavoro.

Alle persone in condizioni di fragilità vanno fatte proposte che offrano loro un futuro possibile, non quattro mesi e poi il baratro. Ricordiamo che oltre il 70 per cento dei beneficiari ha un titolo di studio non superiore alla terza media ed è fuori dal mercato del lavoro da tre anni. Il problema dell’inserimento lavorativo non si risolve con la minaccia del lavoro a qualunque costo.

È bene ricordare, d’altra parte, che di offerte agli attivabili ne sono arrivate e ne arrivano tutt’ora ben poche e questo nonostante la presenza di incentivi alle imprese che decidono di assumere un beneficiario.

Gli incentivi sono di due tipi: l'esonero contributivo a favore del datore di lavoro per ogni beneficiario assunto e una somma pari a sei mensilità per l'autoimprenditorialità. Ad oggi non si sono dimostrati efficaci nel favorire l’attivazione. Non si capisce quindi come la previsione di ulteriori incentivi possa invertire il trend. Né si capisce cosa si intenda con i corsi di formazione che vengono annunciati.

Già oggi i beneficiari soggetti al Patto per il Lavoro sono tenuti a seguire corsi di formazione e l’entrata a regime di Gol già prevede un rafforzamento di queste azioni nei loro confronti. È davvero singolare che vengano proposti strumenti già previsti come fossero soluzioni nuove a un problema irrisolto.

Il ritorno dei voucher

Desta inoltre perplessità la reintroduzione dei voucher per il lavoro accessorio. Prima che venissero aboliti nel 2017, la liberalizzazione del 2012 era stata presentata come un modo per agevolare le assunzioni regolari nei settori ad alta intensità di lavoro e bassa produttività, replicando il modello dei minijobs tedeschi, impieghi pagati 450 euro al mese senza versamenti contributivi.

In Germania, tuttavia, un minijobber ha la possibilità di cumulare due fonti di redditi, una da lavoro, l’altra proveniente dal Reddito minimo. In Italia si pensa di togliere il Reddito minimo per gli attivabili senza la possibilità di vedersi riconosciuta alcuna integrazione salariale. Così facendo il rischio è quello di andare a ingrossare ulteriormente l’area del lavoro povero.

Le offerte vere di lavoro – quelle congrue – non possono essere basate sulla logica dei voucher. Nessuno mette in discussione l’idea che un beneficiario di

Reddito di Cittadinanza debba essere accompagnato al reinserimento lavorativo. Ma vanno costruite le condizioni perché il lavoro per questi soggetti fragili ci sia.

Lavoro a qualsiasi costo

Pensare di risolvere il problema solo con le politiche attive del lavoro è illusorio, tanto meno lo è con versioni punitive del workfare. Piuttosto bisognerebbe agire sui problemi che rendono difficile trovare una occupazione per i beneficiari di sussidi. Invece di continuare finanziare programmi per l’occupabilità sarebbe il caso di pensare a qualcosa di radicalmente diverso, ad esempio una vera job guarantee europea, un programma finanziato dall’Europa per creare non stage e tirocini fini a sé stessi o lavoro gratuito nei servizi di comunità, ma lavoro vero e utile per rispondere ai bisogni emergenti che impattano sui territori, spesso però rimanendo a uno stato di latenza per l’assenza di una vera strategia per la creazione diretta di nuova occupazione.

L’alternativa che sembra profilarsi è un'altra ed è il lavoro a qualunque costo. Ma ammesso che i centri per l’impiego siano in grado di fare delle offerte (cosa non scontata visti i precedenti) rimane il problema della congruità. Sarebbe grave se i voucher per il lavoro accessorio venissero utilizzati come offerta congrua per i percettori di Reddito di Cittadinanza, magari in agricoltura o nel settore alberghiero come sembra indicare il disegno collegato alla legge di bilancio

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