Nel mondo di nuovo in guerra le frontiere sono tornate di moda e la loro integrità è a repentagli. Stiamo assistendo ad una strana forma di rivincita degli imperi che fa capolino nei conflitti o nelle recenti crisi, dalla guerra in Ucraina, ai tentativi di sfondamento della Turchia in Rojava, fino ai bombardamenti iraniani nel Kurdistan iracheno.

Al contrario degli stati-nazione, gli imperi non hanno mai amato confini troppo definiti: li preferivano porosi e permeabili, sempre alla ricerca di un’espansione e di un’influenza oltre frontiera.

In ogni caso l’identità degli imperi non risiede in confini assoluti mentre lo è per gli Stati-nazione che vi legano la propria esistenza e, se non soddisfatti, lunghe ed interminabili rivendicazioni.

C’è il caso della Russia (zarista, sovietica o attuale): la più lunga frontiera del mondo, le cui convulsioni –ormai assai note- sono descritte ad esempio dall’autrice norvegese Erika Fatland che si è presa la briga di raccontarci il suo interminabile giro lungo tale confine incerto e teso.

Ma è così anche per la Turchia che ha riscoperto l’eco dei suoi antichi fasti ottomani sia in mare che per terra, e guarda oggi con bramosia a Mosul ed Aleppo, percepite come città una volte all’interno del loro mondo.

Per questo Ankara proietta il suo spazio ben al di là dell’Anatolia, della Tracia o della costa egea: prende contatto con le popolazioni turcofone o turcomanne, si presenta come un’alternativa nei Balcani, sbarca in Libia e cerca di spingersi al di là dei confini siriani che dimostra di non riconoscere.

L’ottomanizzazione della politica turca significa anche influenza crescente in quelle che furono terre ottomane, inclusa la costa orientale africana.

Anche l’Iran, oggi repubblica islamica ma fino all’altro ieri impero persiano, non dimentica tale sua radice e preme in questi mesi sulla frontiera irachena verso il Kurdistan autonomo, con bombardamenti che annunciano qualcosa di più.

Quelle antiche terre d’Oriente, dove oggi si incontrano Turchia, Iran, Iraq ma anche Azerbaijan e Armenia, sono sempre state contese fra vari imperi e ancora oggi sono chiamate con nomi diversi. D’altronde Teheran non nasconde le sue mire su tutto l’Iraq e non solo sul nordest oltre il lago di Ourmieh, la regione che gli iraniani chiamano “la testa del gatto”.

Davanti alla rinascita delle mire imperiali vacillano i giovani Stati come Siria ed Iraq, la cui legittimazione viene dai colonizzatori che ne disegnarono i confini alla caduta dell’impero ottomano dopo la prima guerra mondiale.

Senza cadere nella trappola ideologica postcoloniale (qualunque confine terrestre è sempre una decisione in qualche modo discutibile), resta il fatto che oggi gli ex imperi, alla riscoperta di una vocazione nel vuoto della politica globale, mettono in crisi la stabilità internazionale con la loro interpretazione delle frontiere fragili e alterabili. 

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