Nell'implosione del Partito democratico dopo le elezioni di settembre c'è un cratere a forma di ecologia. L'Italia ha uno dei movimenti per il clima più forti e radicati d'Europa, ma l'effetto Fridays for Future non si è mai visto nei numeri del Pd: i giovani ambientalisti coltivano una radicata diffidenza nei confronti di quello che sarebbe in teoria un interlocutore naturale.

È da qui che prova a ripartire Matteo Ricci, sindaco di Pesaro, nel caos di questa «fase costituente» in cui si parla ancora solo di nomi o alleanze invece che temi o idee. Ricci chiede di iniziare la conversazione su una scala diversa da quella italiana: a novembre l'umanità ha superato quota otto miliardi.  

Perché il dato degli otto miliardi la colpisce così tanto?
«Perché è un dato sul quale la politica non riflette abbastanza, senza rendersi conto che questa è la vera sfida per il pianeta. Lo dico anche per la forza politica alla quale appartengo, che per evolversi deve imparare ad avere come obiettivo la qualità della crescita».

La crescita come obiettivo della società è un'idea sempre più messa in discussione.
«Vero. Ma quando se ne parla il dibattito va in automatico sul tema della decrescita felice. E dobbiamo dire che invece la decrescita è sempre infelice, non produce ricchezza, redistribuzione del reddito o lavoro. Ma anche questa crescita produce diseguaglianza e aumento della temperatura».

E cosa c'è in mezzo tra la crescita e la decrescita?
«Un altro tipo di crescita, che possiamo iniziare a costruire partendo da come la misuriamo, perché qui continuiamo a parlare di nuovi modelli di sviluppo, ma misurandoli ancora con gli indicatori del passato. Finché usiamo il Pil come standard unico del progresso non avremo mai uno sviluppo diverso. Non è una questione statistica, è una questione politica. Con indicatori del novecento rimaniamo schiacciati su un capitalismo globale che ci ha mostrato i suoi limiti. Non c'è crescita di qualità se non inseriamo nelle nostre valutazioni la lotta alla diseguaglianza e ai cambiamenti climatici.».

E che indicatori propone?
«Degli indicatori che insieme alla crescita misurino salute, equità, istruzione, qualità ambientale, come il Bes, il benessere equo sostenibile, sviluppato dall'ex ministro Enrico Giovannini quando era presidente dell'Istat e ancora oggi completamente sottovalutato».

Si può rifondare un partito ripartendo dagli indicatori?
«Il Pd deve diventare il partito di questo benessere equo e sostenibile, bisogna misurare le politiche pubbliche a ogni livello con questo indicatore, deve diventare una nostra battaglia. C'è un tema di rilancio identitario del Partito democratico, dove non si è mai sviluppato un dibattito sano sui temi alti, come la ricerca della felicità, un'idea sancita anche dalla Dichiarazione di indipendenza americana ma estranea alla nostra cultura politica. Qual è la nostra idea di felicità pubblica nel 2022? Da qui deve ripartire l'identità della sinistra».

E perché non lo ha fatto prima?
«Perché siamo stati dieci anni al governo senza vincere le elezioni, questo ci ha portato ad affrontare solo i problemi del momento, mettendo la nostra responsabilità a disposizione del paese in una serie di frangenti difficili, dalla crisi finanziaria fino al Covid. Ma ora abbiamo bisogno di dire che il capitalismo globale attuale non può essere intoccabile, anzi, serve una critica al capitalismo, ma per criticarlo dobbiamo uscire da discussioni astratte e capire come si fa una crescita sana».

C'è spazio dentro il Pd per questa conversazione?
«Io lo spero. Quando abbiamo governato noi i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri hanno eredità solo povertà, è stato il fallimento di ogni ideale. Questo Congresso serve per discutere nuove idee, ridefinire l'identità e la prospettiva, parlare di riscatto sociale e sfida ambientale».

Verrebbe da dirle: buona fortuna.
«Siamo già partiti, con altri sindaci e con la rete dei comuni sostenibili, che hanno deciso di misurare il proprio lavoro proprio col Bes, un'operazione di trasparenza. Anche perché è qui che sta la sfida dell'Europa nel mondo. Siamo l'unica parte del pianeta dove si può investire in qualità della crescita, è l'unico aspetto sul quale possiamo competere con Stati Uniti, Cina, India. Ci batteranno sulla quantità di crescita, ma noi possiamo avere una crescita migliore. Vale per l'Europa, vale per l'Italia, e deve essere questo l'orizzonte del Pd».

Riuscirete a superare lo scetticismo dei movimenti?
«A noi i movimenti servono per l'energia di ripensare il nuovo modello, a loro il Pd serve per trasformare la radicalità in una cultura di governo. Perché è vero, la sfida ambientale richiede radicalità. Ma all'Italia serve un ambientalismo che faccia cose, prenda decisioni, la politica non è una cosa semplice, e questo può essere il ruolo del Pd, così può essere utile al paese, trovando risposte pragmatiche nella pratica di ogni giorno».

Ha seguito il vertice Onu Cop27? Che giudizio ne dà?
«Negativo. Aver raggiunto un accordo solo sui danni causati dal clima era il minimo sindacale che ci si potesse aspettare. È un bene per i paesi più esposti ai disastri, e noi nelle Marche di disastri ne sappiamo qualcosa. Purtroppo manca una scelta netta rispetto alle politiche per prevenire i cambiamenti climatici, per rimanere sotto un aumento di temperatura di 1.5°C rispetto all'era pre-industriale. E poi torniamo sempre allo stesso punto: se il paradigma non cambia, se rimane quello del novecento, non andiamo da nessuna parte. Non c'è soluzione al problema del clima senza una riforma del capitalismo globale».

Quindi? Si sta candidando a guidare il Pd?
«Per le candidature c'è tempo fino a gennaio. Di sicuro c'è che io sono in campo, insieme a tanti amministratori locali, per dare il mio contributo di cambiamento e ripartenza. Io ho preso sul serio l'affermazione che questo è un percorso costituente, sono due mesi che faccio su e giù per la provincia italiana, portando questi temi alle persone, ascoltandole, provando a costruire il futuro di questo partito insieme a loro». 

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